Se l’inflazione non accenna a tornare verso livelli contenuti, la tenuta del sistema pensioni barcolla. E di conseguenza la riforma pensioni per consentire uscite anticipate ai lavoratori diventa una chimera. Questione di soldi (che mancano), ma anche di problemi legati al rapporto fra lavoratori e pensionati che si sta deteriorando.

Il pagamento delle pensioni, come tante altre prestazioni pubbliche, pesa molto sulle casse dello Stato. E continuare a liquidare rendite pubbliche senza una solida base contributiva non permetterà di sostenere ancora a lungo la continuità dei pagamenti, senza sacrifici tangibili per i cittadini.

L’inflazione morde sulle pensioni

Ad aprile, secondo l’Istat, la corsa dei prezzi al consumo non si è arrestata, anzi ha ripreso a salire. L’inflazione di conseguenza si è attestata al 8,2% su base annua con un dato in crescita rispetto al 7,6% del mese precedente.

Di fronte a questi preoccupanti dati Istat, diventa difficile sostenere la spesa previdenziale italiana nei prossimi anni. Soprattutto per via del fatto che la spesa pensionistica è in tendenziale rialzo, al netto dei dati inflativi. Cosa che peserà oltre misura sul bilancio dello Stato se bisognerà intervenire energicamente e nuovamente sulla rivalutazione degli assegni.

Per il 2023 sono stati stanziati più di 22 miliardi di euro per la perequazione automatica di oltre 17 milioni di assegni. Pur tenendo conto dei tagli che il governo ha apportato alle pensioni superiori a quattro volte il trattamento minimo, si tratta di una spesa difficilmente sostenibile a lungo.

Soldi che non si sa bene dove potranno essere trovati, anche perché non è più possibile aumentare la tassazione generale. Serviranno quindi altri tagli alle prestazioni visto che la base contributiva non sarà sufficiente a coprire interamente la spesa. Col rischio – come avverte il presidente dell’Inps Pasquale Tridico – che il patrimonio netto dell’Inps vada in rosso per 92 miliardi entro i prossimi sei anni.

La spinta verso il contributivo

Considerata la gravità della situazione, l’accelerazione verso il sistema di calcolo contributivo puro delle pensioni diventa impellente. E lo si è già visto, anche se molti non se ne sono accorti del tutto. Con Opzione Donna, ad esempio, dove le lavoratrici devono accettare il ricalcolo della rendita con questo sistema per lasciare il lavoro a 60 anni.

Altre forme di anticipo pensionistico prevedono comunque delle penalizzazioni. Ape Sociale a partire da 63 anni prevede l’erogazione di un anticipo pensionistico con un massimo di 1.500 euro per dodici mensilità non rivalutabile. Mentre la pensione vera e propria arriva solo al compimento dei 67 anni.

E che dire di Quota 41? La tanto discussa riforma che la Lega vorrebbe fare dal 2024 non sarebbe sostenibile economicamente se non con un sistema di ricalcolo contributivo della pensione. A scelta del lavoratore naturalmente. Ma non è solo questo che deve far riflettere.

La pensione in due tranches

Anche l’Inps spinge per anticipare le pensioni contributive a scapito di quelle retributive che tramonteranno definitivamente non prima di decina di anni. Secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico andrebbe introdotto un sistema flessibile, con una pensione concessa in due tempi diversi.

Vale a dire, una prima parte di rendita sarebbe liquidata al lavoratore subito, al raggiungimento dei 63 anni di età, ma a valere solo sui versamenti effettuati nel sistema contributivo (quelli maturati dal 1996 in poi). La seconda parte di pensione, invece, al raggiungimento dei 67 anni, a valere sulla restante parte dei versamenti effettuati prima del 1996 cioè nel sistema di calcolo retributivo.

Riassumendo …

  • L’inflazione fa salire enormemente i costi delle pensioni.
  • Le pensioni anticipate non sono più sostenibili.
  • Il governo spinge per anticipare il sistema contributivo.
  • La proposta Inps pe runa pensione in due tranches.