Quest’anno, il Tesoro italiano emetterà complessivamente sui 500 miliardi di euro di titoli di stato, di cui per circa 180 miliardi al fine di rimpinguare le casse dello stato per via essenzialmente dell’emergenza Covid. E così, a fine dicembre il debito pubblico italiano dovrebbe salire in area 2.600 miliardi. Aveva chiuso il 2019 a poco meno di 2.410 miliardi. L’anno prossimo, le cose non andranno meglio. Oltre ai 372 miliardi di BoT e BTp da rinnovare alla scadenza, ci sono 123 miliardi di nuovo deficit da finanziare.

Il conto è atteso, quindi, a 495 miliardi. In due anni, avremo emesso circa 1.000 miliardi, una cifra che allo stato attuale corrisponde ai due terzi del nostro PIL.

Tanto debito pubblico per nulla, così Conte ipoteca il futuro dell’Italia

Questi dati emergono con l’approvazione della Nota di aggiornamento al Def, avvenuta prima che iniziassero ad entrare in vigore le restrizioni delle varie regioni e che lo stesso governo nazionale prendesse in considerazione ipotesi come il coprifuoco per tutto il territorio italiano. Ci stiamo avviando gradualmente al lockdown, piaccia o meno ammetterlo. Questo avrà conseguenze negative sull’economia italiana, il cui rimbalzo atteso dal governo del 5,1% nel 2021 dopo il -9% del 2020 appare ora obiettivamente poco credibile.

E con l’economia che andrà sia quest’anno che il prossimo peggio delle attese, salirà anche il fabbisogno finanziario dello stato. I 123 miliardi di deficit stimato per il 2021, pari al 7% del pil, non sarebbero più sufficienti e in rapporto al (minore) PIL incideranno per un percentuale più alta. La soglia dei 1.000 miliardi di indebitamento lordo in due anni dovrebbe essere superata agevolmente, a meno che il Recovery Fund non eroghi già nel 2021 qualche tranche corposa tra prestiti e sovvenzioni, sgravando le emissioni italiane.

Il soccorso monetario BCE

Come sarà possibile collocare sul mercato tutta questa immensa mole di nuovo debito senza incorrere in una qualche severa crisi finanziaria? Semplice, ci coprirà le spalle la BCE, così come sta facendo da marzo.

Con l’arrivo della pandemia in Europa, Francoforte potenziò i suoi programmi di acquisto di assets di complessivi 1.470 miliardi, a cui si sommano le non meno importanti aste T-Ltro con cui centinaia di miliardi di prestiti sono erogati alle banche commerciali a tassi fino al -1%. Il monte-acquisti di Francoforte copre perfettamente l’entità delle emissioni nette di debito nell’Eurozona, creando le condizioni per un loro assorbimento sul mercato senza particolari problemi.

Anzi, a ben vedere i rendimenti sono scesi ovunque lungo le curve e la domanda a ogni operazione è altissima, segno che gli investitori intendano inserire in portafoglio ancora più bond sovrani e corporate. Questa, e non il Recovery Fund, è la vera garanzia sul nostro debito, che a fine anno s’impennerà al 160% del PIL. Il soccorso serve anche a grosse economie come Francia e Spagna, rispettivamente la seconda e la quarta dell’Eurozona. Solo se l’Italia tornasse ad essere un caso problematico isolato, la Commissione reagirebbe con la riproposizione delle ordinarie regole fiscali e la BCE inizierebbe a ritirare i suoi stimoli monetari. Per il breve e il medio termine, non accadrà. A dire il vero, un simile scenario non sembra realistico neppure tra qualche anno e quand’anche tutti gli altri partner dell’area si fossero nel frattempo ripresi e diventassero virtuosi sui conti pubblici.

Sul debito pubblico italiano qualcuno racconta frottole

Quale baratto tra Roma e Francoforte?

La gravità di questa crisi è così forte, che nei fatti i paradigmi basilari su cui si reggono le leggi dell’economia sono già saltati. Si “stampa moneta” senza limiti per finanziare gli eccessi di spesa pubblica e nessun governo ha esibito ad oggi piani credibili per un rientro dei disavanzi fiscali nei prossimi anni.

Imporre politiche di austerità dopo un tracollo dell’economia così repentino e violento sarebbe improponibile per la Commissione, che sa che soffierebbe sul fuoco del malcontento, già elevato in Italia prima del Covid.

Questo significa solo una cosa: saremo nelle mani della BCE. I suoi rubinetti della liquidità ci manterranno finanziariamente in vita per un lungo periodo e ogni pasto, una volta consumato, dovrà essere pagato. Quale sarà il prezzo di questa monetizzazione nei fatti del nostro debito sovrano? La risposta più ovvia sembrerebbe le riforme economiche, ma quasi 30 anni di Maastricht ci hanno dimostrato che la realtà è rimasta lontana dalle ambizioni. Il baratto in corso sarebbe un altro e certamente più subdolo e peggiore sul piano delle conseguenze: l’Italia abbasserebbe la testa in Europa su qualsivoglia dossier, che riguardi la politica industriale o l’immigrazione, le banche o gli aiuti di stato (altrui). Come un debitore mostra riverenza e il dovuto timore nei confronti dei propri creditori. La nostra sovranità residuale si affievolirà ulteriormente, in cambio la BCE ci somministrerà il metadone sufficiente per restare nell’euro senza patire grosse crisi di astinenza. Ci aspettano tempi cupi.

Perché la BCE può comprarsi il debito pubblico degli stati e Bankitalia smise di farlo

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