Tra poche ore sapremo se i sondaggi della vigilia fossero corretti e se la Germania avrà un cancelliere socialdemocratico. Di solito, le previsioni elettorali tedesche sono più che corrette. Ad ogni modo, poco cambierebbe. Comunque vada, la fine dell’era Merkel ha elevate probabilità di tradursi in una buona notizia per il futuro dell’economia italiana.

No, non stiamo aggregandoci al chiacchiericcio destituito di fondamento, in base al quale la cancelliera sarebbe stata la causa dei mali italiani dell’ultimo decennio.

Semplicemente, a consuntivo i suoi sedici anni alla guida della prima economia europea non sono stati faville come ci aspetteremmo. E ciò ha contribuito certamente in negativo alla crisi dell’economia italiana.

L’attendismo esasperante della cancelliera

Procediamo con ordine. Angela Merkel è a capo del governo tedesco dalla fine del 2005. Ha vinto ben quattro elezioni di fila grazie al suo centrismo un po’ esasperato, attraverso il quale ha conquistato consensi anche a sinistra, svuotando di voti e significato l’SPD. Ma questa sua abilità ha avuto un costo: la paralisi decisionale. La cancelliera è stata tipicamente molto prudente nell’assumere decisioni sia in patria che in Europa. Se da un lato questo suo atteggiamento le ha attirato molte simpatie, dall’altro non ha fatto bene all’economia tedesca.

Nonostante mezzo mondo provi invidi per l’equilibrio dei conti pubblici, il basso debito, l’altissima occupazione, il boom delle esportazioni e la relativa pace sociale, il PIL in Germania sotto Frau Merkel è cresciuto mediamente dell’1% all’anno. Non è il dato di un’economia in salute, bensì di una stagnazione allarmante, se non fosse che in questo lungo periodo Berlino è riuscita a brillare dinnanzi ai disastri di economie come Italia, Spagna e per certi versi della stessa Francia.

In fondo, la Merkel ha fatto peggio di chi c’era prima di lei nel decennio precedente, quando la crescita era stata in media dell’1,2%.

Questione di virgole, ma il trend è stato negativo. La Germania è cresciuta in questa lunga era esattamente quanto la media dell’Eurozona. Chiunque oggi vincesse le elezioni, potrebbe e dovrebbe fare meglio. Se a succederle sarà Olaf Scholz, attuale ministro delle Finanze e leader dell’SPD, probabilmente punterà su maggiori investimenti pubblici e minore rigore fiscale. Per tale via, la crescita del PIL dovrebbe accelerare, sempre che tali misure non venissero sterilizzate da altre contrarie al business, come l’aumento del salario minimo e delle tasse.

Economia italiana e l’export verso la Germania

Se il successore fosse Armin Laschet, leader della CDU, dovremmo attenderci meno tasse e un rigore fiscale simile a quello degli ultimi anni. L’abbassamento della pressione fiscale, comunque, avrebbe effetti benefici sulla crescita. E per l’economia italiana, l’uno o l’altro scenario equivarrebbe a maggiori esportazioni. L’Italia prima del Covid è arrivata a sfiorare i 60 miliardi di export annuo verso la Germania. A conti fatti, ogni 1% di PIL tedesco in più le nostre imprese venderebbero merci e servizi a Berlino per oltre mezzo miliardo. In altre parole, se la Germania accelerasse il passo, il beneficio si avrebbe anche in Italia.

E c’è il capitolo Europa. L’attendismo della Merkel su temi come il bilancio comune, Eurobond e unione bancaria ha tenuto accesi i fari dei mercati sul nostro Paese. Così si spiega la cronica crisi dello spread, che si è tradotta in tassi di mercato strutturalmente più alti per stato, imprese e banche italiani. La conseguenza è stata il deflusso dei capitali e l’indebolimento delle prospettive di crescita. Un cancelliere meno tentennante muterebbe lo scenario, creando un quadro macro favorevole all’Italia e permettendo agli investitori di guardare con maggiore fiducia al Bel Paese.

Anche per questa via, la crescita dell’economia italiana accelererebbe.

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