E’ passato appena un anno e mezzo dall’insediamento dell’amministrazione di Alberto Fernandez e l’economia argentina accelera verso il definitivo collasso. Il paese sudamericano lotta ancora duramente contro il Covid, che continua a mietere la media di 500 vittime e oltre 18.000 contagi al giorno. La gestione della pandemia è stata pessima e le vaccinazioni procedono a rilento. Solamente l’8% della popolazione risulta del tutto vaccinata. In Italia, siamo sopra il 26%.

Il “Frente de Todos” era tornato al potere dopo la parentesi liberale di Mauricio Macri sulla promessa di migliori condizioni di vita per tutti.

E gli argentini per l’ennesima volta hanno abboccato ai loro carnefici. Complice la pandemia, l’economia argentina è crollata del 9,9% nel 2020. E’ stato il terzo anno consecutivo di recessione dopo il -2,1% del 2019 e il -2,6% del 2018. E così, oggi il 42% della popolazione vivrebbe in povertà, mentre l’inflazione resta sempre poco sotto la soglia del 50%. La ripresa del PIL per quest’anno è stimata a circa +5%, trainata dal boom di materie prime come la soia.

Economia argentina e cifre del collasso

Prosegue anche il collasso del cambio. Per comprare un dollaro servono ormai più di 95 pesos, il 37% in più da quando Fernandez è presidente. Al mercato nero va molto peggio. Di pesos ne servono 164, +60% dal dicembre 2019. Preoccupante, poi, il crescente divario tra tasso “illegale” e quello ufficiale. Segno della corsa ai dollari in un paese storicamente abituato a svalutazioni e alta inflazione.

Solamente nell’estate dello scorso anno, l’Argentina ristrutturava il debito pubblico dopo il nono default della sua storia, ottenendo sgravi da parte dei creditori privati per 38 miliardi in 10 anni. Adesso, sfiora il decimo. A maggio, non ha onorato scadenze per 2,4 miliardi di dollari nei confronti dei creditori del Club di Parigi. Questi le hanno concesso un periodo di grazia di 60 mesi. Nel frattempo, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sta alzando le mani rispetto alla rinegoziazione dei 44 miliardi di prestiti concessi nel 2018 e subito finiti nel mirino dei peronisti.

Secondo fonti anonime di Washington, l’istituto non crede alla bontà delle trattative di Buenos Aires fino a quando si terranno le elezioni per il rinnovo del Congresso nel novembre prossimo.

L’FMI dovrà ricevere pagamenti per 4,58 miliardi entro la fine dell’anno ed è molto probabile che l’Argentina onori le scadenze, grazie all’accesso ai 4,4 miliardi di maggiori Diritti Speciali di Prelievo dello stesso fondo. Questo denaro deriva dall’aumento delle riserve avvenuto nel corso dei mesi passati per aiutare gli stati in difficoltà con il Covid. Una partita di giro, insomma. Ma l’anno prossimo giungono in scadenza ben 18 miliardi di prestiti dell’FMI e l’amministrazione Fernandez ha già messo le mani avanti, avvertendo che non potrà pagare.

Il tracollo dei peronisti?

Nel paese dilagano le proteste. Molte sono contro le restrizioni anti-Covid, ma tutte puntano a indebolire la maggioranza di governo alle elezioni di metà mandato. I peronisti rischiano di perdere la maggioranza in Congresso, un fatto che paralizzerebbe l’azione di governo del presidente e della sua potente alleata Cristina Fernandez de Kirchner, già “presidenta” tra il 2007 e il 2015. Tutto questo, mentre i creditori del Club di Parigi fanno pressione su Buenos Aires, affinché vari un’agenda riformatrice che porti una volta per tutte l’economia argentina fuori dal mix letale di svalutazione, inflazione e insostenibilità fiscale.

Il recente tour del presidente Fernandez in Europa, tra cui a Roma per incontrare il premier Mario Draghi, si è rivelato un flop. Puntava ad ottenere sostegno delle cancellerie per il suo negoziato con l’FMI, ma ha ricevuto solo inviti a fare le riforme. E i peronisti sono per ideologia contrari a qualsivoglia cambiamento che punti a rendere il mercato più libero e a connettersi con il resto del mondo sul piano degli scambi commerciali e finanziari.

Va avanti così da decenni. Il collasso dell’economia argentina non fa più neppure notizia, tanto ci siamo abituati all’idea che in questo angolo di Sud America vi sia un malgoverno perenne e senza speranze. Il rischio che la stanchezza popolare provochi rivolte violente, però, inizia a farsi concreto.

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