Il sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia colpirà il petrolio e punta a danneggiare drasticamente le finanze di Mosca. Una cosa ha capito l’Occidente dopo quasi due mesi e mezzo di guerra in Ucraina: finché pagheremo a Vladimir Putin 8-900 milioni di euro al giorno per comprare il suo petrolio e gas, difficile che l’embargo si riveli efficace. Ma Nord America ed Europa dispongono di un’arma nucleare per indurre il Cremlino a più miti consigli.

E forse la userà nei prossimi mesi.

L’arma nucleare dei tassi

Senza girarci troppo intorno, neppure l’embargo petrolifero funzionerà. L’Europa acquistava prima della guerra sui 3,5 milioni di barili al giorno dalla Russia. Entro l’autunno prossimo, dovrebbe azzerare tali importazioni. Per il gas ci vorrà più tempo, realisticamente qualche anno come minimo. Tuttavia, ciò non danneggerà così potentemente l’economia russa, perché sul mercato globale si avrà un semplice riposizionamento: l’Europa sposterà gli ordini di petrolio e gas dalla Russia all’Africa, al resto dell’Asia e, in misura assai minore, al Nord America. In cambio, la Russia si aggiudicherà nuovi clienti essenzialmente in Asia.

E’ il gioco delle tre carte. A offerta invariata, i prezzi resteranno elevati. La storia inizia a cambiare se ad abbassarsi saranno i consumi globali. E chiaramente ciò avverrebbe nel caso di una recessione dell’economia mondiale. Prima ancora di arrivare a tanto – e potrebbe accadere tra non molto – le banche centrali possono prosciugare l’eccesso di liquidità sui mercati finanziari, dalla quale scaturisce l’elevata domanda di materie prime, spesso a scopi puramente speculativi. Come? Alzando i tassi d’interesse a ritmi sostenuti.

Rischio recessione economica

E questo non implicherebbe rischiare la recessione? Sarebbe come il marito che per fare un dispetto alla moglie decide di tagliarsi gli attributi.

Scusate l’immagine poco edificante, ma si spera efficace. In realtà, l’Occidente potrebbe carezzare l’idea della recessione per due motivi: in primis, perché la ritiene inevitabile con questi tassi d’inflazione; secondariamente, perché solo così immagina di disinflazionare la propria economia. E se l’effetto collaterale di questa strategia fosse di infliggere il maggior danno possibile all’economia russa, tanto meglio.

La vera arma nucleare dei nostri governi contro Putin non sono le sanzioni. Certo, stanno funzionando nel deprimere il PIL russo, ma a Mosca non mancano i dollari e gli euro necessari per finanziare l’impresa bellica. Per ridurli ai livelli di allarme, serve che le quotazioni di petrolio e (auspicabilmente) gas scendano velocemente e a livelli di poco superiori ai costi medi di produzione. Ciò sarebbe possibile solo con una stretta monetaria rigorosa. E ve n’è bisogno per combattere l’inflazione, solo che ad oggi i governatori centrali temono che provochi una recessione economica. Ma se questa fosse percepita come l’unica soluzione per stabilizzare i prezzi e vincere la guerra contro Putin, l’aria cambierebbe.

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