Paradossale che possa apparire, il Coronavirus non ha ancora impattato negativamente sui conti pubblici italiani, sebbene lo spread nelle ultime sedute sia salito ai massimi da fine agosto, quando c’era ancora in carica il primo governo Conte, quello “giallo-verde”. Volete una prova? Il titolo di stato che per durata residua offre la migliore approssimazione del costo medio ponderato del nostro debito pubblico e, di conseguenza, delle emissioni in corso del Tesoro, è quello a 7 anni. E ieri, rendeva circa lo 0,70%, meno dell’1% di inizio anno e dello 0,75% medio registrato nei primi 45 giorni del 2020, prima che l’epidemia colpisse particolarmente il nostro Paese.

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In altre parole, il virus cinese ha allarmato i mercati finanziari di tutto il mondo e li ha indotti a ripararsi nel comparto obbligazionario, consentendo ai rendimenti di scendere, beneficiando gli emittenti, tra cui l’Italia. Per quanto buona parte dei guadagni per i BTp sia svanita, ora che gli investitori hanno paura di quanto stia accadendo sul nostro territorio, i costi di indebitamento per il Tesoro continuano a rimanere vicini ai minimi storici e inferiori a quelli di inizio anno. A febbraio, stando al Rendistato di Bankitalia, il costo medio del debito sul secondario è diminuito di 23 centesimi di punto, scendendo allo 0,59%. Se questo “sconto” durasse negli anni, spenderemmo almeno 4,7 miliardi in meno di interessi all’anno, una mini-manovra fiscale espansiva.

Ma non facciamoci illusioni. L’emergenza Coronavirus sta colpendo già duramente l’economia italiana, anche se gli effetti li noteremo a partire dai prossimi mesi. Il solo pil della Lombardia vale il 22% del totale nazionale e quello delle sue province maggiormente colpite dal virus incide per il 12%. Le cosiddette “zone rosse”, epicentro dell’epidemia in Italia, non hanno arrestato del tutto la produzione di beni e servizi, ma in buona parte sì.

Molto di questo stop verrà recuperato con ogni probabilità quando la situazione si sarà normalizzata, magari ricorrendo agli straordinari per i lavoratori, ma non tutto quanto di ciò che è andato perduto. E più caleranno gli ordini, minore il tasso di recupero.

In corso una dura recessione

La domanda estera per il Made in Italy rischia di essere colpita sia dalla più debole congiuntura internazionale, sia dall’effetto stigma a cui soggiacerebbero i nostri prodotti, qualora l’immagine dell’Italia venisse associata a quella del Coronavirus. Per le aziende tricolori, sarebbe un dramma. A soffrire particolarmente sarà il comparto turistico, che già in queste settimane sta registrando un crollo verticale delle prenotazioni e voli cancellati, lasciando prevedere un’estate nera sul fronte delle presenze straniere. E gli stessi movimenti degli italiani risulteranno limitati e rallentati dalla psicosi. Da nord a sud, la flessione del fatturato si farà sentire. E questo significherà una cosa su tutte: le aree ad alta intensità turistica subiranno un calo dell’occupazione, la quale tipicamente tende a migliorare nei mesi di alta stagione.

Compagnie che hanno cancellato o ridotto i voli per l’Italia

Sin da aprile, toccheremo con mano l’effetto negativo del Coronavirus sui posti di lavoro creati e sul giro d’affari delle imprese turistico-alberghiere, mentre i consumi domestici accuseranno il colpo, anche perché la recessione in corso nasce già nell’ultimo trimestre dello scorso anno, quando nemmeno avevamo idea di cosa ci sarebbe aspettato dalla Cina. La crisi italiana s’inserisce nel quadro più generale dell’Eurozona, indebolita dal rallentamento globale, e a sua volta viene inasprita dalla cronica debolezza economica domestica, se è vero che non siamo ancora riusciti a riagganciare i livelli reali del pil pre-crisi.

Qualche analisi statistica ancora da completare parla di un calo del pil pauroso per il trimestre in corso, tale da lasciare immaginare che il tonfo per l’economia italiana non sarà così dissimile da quello accusato nel tragico biennio montiano del 2012-’13.

Allora, il prodotto interno lordo crollò del 2,4% e dell’1,9% rispettivamente. La recessione svanì solamente nella seconda metà del 2014, a tre anni esatti dal suo inizio. L’origine di quella crisi fu finanziaria e si tradusse, come nel 2008, immediatamente in economica. Stavolta, le condizioni finanziarie appaiono ottimali, mentre il problema scaturisce dalla domanda interna insufficiente a compensare la debolezza esterna e che risente a sua volta di una produzione calante.

La recessione non sarà breve

Questo quadro clinico preoccupante contagerà quello finanziario, sebbene già oggi i BTp siano i titoli più deprezzati di tutta l’Eurozona, assieme a quelli della Grecia. Le entrate fiscali non reggeranno e l’indebitamento salirà e, pur con i margini fiscali che la Commissione europea ha già chiarito che intende offrirci, ciò non potrà che essere accolto sui mercati da un aumento del costo di emissione dei bond. E chi pensa che si tratti di un fenomeno passeggero si sbaglia. Lo spegnimento progressivo dell’economia italiana è iniziato ben prima della crisi del 2008 e da allora ha semplicemente accelerato i ritmi. Unica mini-scossa recente si ebbe nel 2017, quando il pil crebbe dell’1,7%, ai massimi da un decennio, andando a rimorchio di una crescita europea sorprendentemente positiva e ben superiore alla nostra.

Non appena la Germania ha iniziato a soffrire, partendo dal comparto auto, il Nord Italia, così fortemente integrato con la produzione tedesca, ha ripiegato. E il Coronavirus è intervenuto in un’economia già calante, colpendo proprio le principali aree produttive, quelle i cui surplus fiscali tengono a galla il Meridione depresso. P.S.: Il presidente della FIFA, Gianni Infantino, non esclude la soppressione degli europei di calcio di questa estate. Alcune delle partite si terranno a Roma. E sarebbe un ulteriore calcio alla nostra economia, un’occasione in meno per metterci in vetrina, quando ne avremmo più che mai bisogno.

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