In teoria, da domani le forniture di gas dalla Russia avrebbero dovuto essere pagate in rubli. Lo aveva richiesto il Cremlino, per quanto i contratti a lungo termine siglati con i clienti europei e nordamericani prevedano che le valute di regolazione degli scambi siano essenzialmente euro e dollaro. Si stima che la Russia quotidianamente incassi dalle esportazioni di gas sugli 800 milioni di dollari, di cui per il 58% in euro, 39% in dollari e 3% sterline. Da oggi, il 100% andrebbe pagato nella valuta emergente.

Ieri, però, il portavoce del presidente, Dmitri Peskov, ha rinviato la scadenza “per ragioni tecniche”.

Il G7 ha respinto fermamente tale richiesta. E’ evidente che l’Occidente non voglia alleviare il peso delle sanzioni contro la Russia, cosa che avverrebbe accettando di pagare il gas in rubli. Così facendo, infatti, Mosca si gioverebbe del rafforzamento del cambio, il quale a sua volta ridurrebbe i contraccolpi dell’embargo sull’economia russa, tra l’altro attenuando l’inflazione.

C’è un’altra ragione per la quale l’Occidente si rifiuta di pagare il gas in rubli. Finora, noi consumatori dell’Eurozona abbiamo importato la materia prima pagandola in euro. Di fatto, il rischio di cambio se l’è accollato Gazprom. Nel caso in cui l’euro si deprezzasse contro il rublo, i suoi ricavi in valuta locale si ridurrebbero. C’è da dire che questo sistema non ha svantaggiato granché la Russia, la quale ha beneficiato dell’afflusso di valuta straniera forte. Tanto per farvi un esempio, negli ultimi 10 anni il rublo ha perso il 60% contro l’euro.

Le conseguenze del gas in rubli

Accettando di vendere gas in rubli soltanto, il presidente Vladimir Putin sta cercando d’ora in avanti di addossare il rischio di cambio ai clienti. Se il rublo si apprezzasse contro le loro valute (euro, dollaro, ecc.), il costo effettivo del gas salirebbe per gli importatori.

Dunque, aumenterebbe l’incertezza. Finora, l’unica variabile a cui abbiamo guardato è la quotazione, mentre da oggi dovremmo fare attenzione anche al fattore cambio. Ad esempio, se il prezzo del gas per mega-wattora scendesse del 5% e il rublo si apprezzasse contro l’euro dell’8%, per noi consumatori il costo risulterebbe salito del 3%.

In previsione di questo passaggio, il rublo ha risalito decisamente la china nelle ultime sedute, dando vita a un rally per certi versi spettacolare. Prima dell’annuncio di Putin, per un dollaro servivano quasi 107 rubli, ieri 84. Va detto che il cambio esordiva quest’anno a 75, per cui ancora oggi risulta indebolito di oltre il 10%. Tuttavia, l’effetto collaterale per Mosca di questo annuncio consisterebbe nell’accelerazione della fuga dei clienti occidentali verso altri esportatori e fonti di energia. Una prospettiva a lungo termine, dato che nel breve il rimpiazzo delle importazioni di gas sarebbe difficile.

In sostanza, la Russia starebbe cercando di fare del rublo una sorta di valuta “commodity linked”. Esiste il rischio concreto, tuttavia, che negli anni possa tradursi in un boomerang, dato che la transizione energetica spingerà il mondo a fare meno del petrolio e, in misura minore, del gas. D’altra parte, in assenza di una riconversione dell’economia russa nel segno della diversificazione produttiva, il rublo accuserebbe ugualmente il colpo per effetto del calo delle esportazioni energetiche. La sensazione è che Russia e Occidente stiano dandosi battaglia più sull’oggi che sul domani.

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