E’ famoso per essere considerato un bene rifugio, ma negli ultimi tempi c’è più di un analista che inizia a metterne in dubbio la tenuta sui mercati. Lo yen ha perso quest’anno oltre il 15% contro il dollaro e il suo tasso di cambio a 136 risulta essere il più debole dal lontano 1998. La scorsa settimana, la Banca del Giappone è intervenuta sui mercati per acquistare bond sovrani nipponici per complessivi 10.900 miliardi di yen, qualcosa come 81 miliardi di dollari. A titolo di esempio, il “quantitative easing” della BCE che si concluderà alla fine del mese vale 20 miliardi di euro al mese.

Cos’è successo di preciso? L’istituto ha dovuto difendere il target dello 0,25% per il rendimento a 10 anni fissato nel 2016. Sul mercato, infatti, aveva di poco superato tale valore e il governatore Haruhiko Kuroda ha sentito la necessità di salvaguardare la reputazione e la credibilità dell’istituto.

Banca del Giappone resiste sui tassi

La Banca del Giappone è l’unica tra le grandi nel mondo a non avere neppure annunciato alcun piano per alzare i tassi d’interesse e/o almeno ridurre gli acquisti dei bond. Al contrario, al board di venerdì scorso ha confermato che questi proseguiranno “per un periodo prolungato”. E’ vero che l’inflazione nel Sol Levante sia molto più bassa che nel resto del mondo avanzato – 2,5% ad aprile – ma andare in direzione contraria al resto delle banche centrali mette ugualmente pressione allo yen. E il cambio sprofonda sul mercato forex.

E se da un lato la Banca del Giappone ha iniettato tutta questa immensa liquidità in così poche sedute, dall’altro nella sola seduta di giovedì scorso ha prestato a controparti finanziarie titoli di stato per 3.200 miliardi di yen, circa 23,5 miliardi di dollari al cambio attuale. Questo apparente paradosso si spiega con il fatto che il mercato dei bond sovrani sia diventato illiquido.

E parliamo di un mercato di 10.000 miliardi di dollari, oltre cinque volte il PIL italiano. Il debito pubblico nipponico, infatti, è esploso con la pandemia al 270% del PIL. Tenendo fermi i rendimenti a lungo termine a livelli bassissimi, di fatto l’istituto centrale sta sussidiando il governo. Un’operazione resa possibile dalla lunga era di deflazione nel paese, ma che rischia di saltare con il ritorno dell’inflazione.

Il circolo vizioso che rischia di travolgere lo yen

Più le altre banche centrali alzano i tassi e più cresce la pressione su Tokyo. Ad un certo punto, scommettono diversi analisti, la Banca del Giappone rischia di capitolare. Dovrà abbandonare la difesa del target sui bond a 10 anni, altrimenti stenderebbe a tappeto lo yen. E come in un circolo vizioso, più il cambio crolla e più alta l’inflazione importata, con la conseguenza che il mercato pretenderà rendimenti nominali sempre più alti e l’istituto dovrebbe aumentare gli acquisti dei bond per tenerli a bada. Ma ulteriori iniezioni di liquidità a loro volta alimenterebbero l’inflazione, e così via di seguito. In sostanza, le leggi dell’economia valgono pure per i giapponesi. Non potranno continuarle ad ignorare all’infinito o rischiano una tempesta finanziaria.

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