Anche lo yuan cinese sta cadendo sotto i colpi del super dollaro, scivolato ieri ai minimi da oltre un anno. Lo yen giapponese scambia, addirittura, ai minimi da ben 20 anni. Male anche sterlina ed euro, con la prima tornata ai minimi da metà 2020 e la moneta unica mai così debole da inizio 2017. Nell’ultimo anno, il dollaro ha guadagnato mediamente più del 12% contro le principali valute mondiali. In genere, una tale forza piace poco alle autorità politiche americane. Gli USA già soffrono di loro di una bilancia commerciale cronicamente passiva e che di anno in anno aggiorna i record negativi.

In effetti, l’ultima cosa che farebbe comodo all’economia americana sarebbe proprio il super dollaro.

I benefici per gli USA del super dollaro

Tuttavia, il rafforzamento del cambio non poteva arrivare in un momento migliore. A marzo, la Federal Reserve di Jerome Powell ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse dello 0,25%. Al board del 3-4 maggio, quasi certamente li alzerà di ulteriori 50 punti base o 0,50%. E probabilmente ciò avverrà anche al board di giugno. Con un’inflazione salita all’8,5% a marzo, la FED non ha altra scelta che smantellare gli stimoli monetari e alzare il costo del denaro.

E l’istituto mette in conto di provocare persino una possibile recessione economica. E’ il timore che nutrono analisti e investitori. L’indice S&P 500 perdeva alla metà di questa settimana il 13% da inizio anno. I rendimenti americani a 10 anni nei giorni scorsi hanno sfiorato la soglia del 3%, mentre il mercato si attende per fine anno tassi FED al 3% dallo 0,5% attuale. In pratica, la FED è rimasta troppo dietro la curva e l’attendismo di Powell dei mesi scorsi rischia di nuocere all’economia americana.

Ma ecco che il super dollaro viene in soccorso della FED. Esso riduce i costi dei beni importati e, di conseguenza, mitiga proprio l’inflazione.

Non solo. Costringe le altre banche centrali ad alzare i tassi, di fatto strozzando la domanda globale di materie prime e “sgonfiandone” almeno parzialmente i prezzi. Peraltro, le quotazioni di queste tendono a muoversi in direzione opposta al dollaro. In altre parole, un biglietto verde troppo forte abbassa i prezzi di petrolio, gas, ecc., o perlomeno li fa innalzare più lentamente.

Sui tassi FED possibile bluff di Powell

Lo scenario migliore per Powell sarebbe quello di una stretta sui tassi FED incompleta, cioè lasciar credere che effettivamente essi saliranno intorno ai livelli neutrali (3% o poco meno), così da “raffreddare” le aspettative d’inflazione (esse sembrano avere toccato il picco a fine marzo). Salvo fare come nel 2019, quando su pressione della Casa Bianca il governatore smise di restringere le condizioni monetarie.

Sarà forse un caso, ma anche per il prevalere dei timori sull’economia, i rendimenti americani si sono allontanati dai massimi toccati nei giorni scorsi. Ieri, il decennale stava sotto 2,75%. Del resto, super dollaro significa afflusso dei capitali negli USA per puntare proprio sui Treasuries come porti sicuri. Per il momento, indipendentemente dai desideri di Powell, il rafforzamento del cambio si rivela un dato perdurante, data la posizione più avanzata della FED sui tassi rispetto al resto delle grandi banche centrali.

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