La Royal Mint ha da poco emesso le prime monete da 50 pence con l’effige del nuovo sovrano, Re Carlo III, che guarda verso sinistra. La madre Elisabetta II guardava a destra. Rispettata la tradizione dell’alternanza anche con il profilo. Alzi la mano chi non ha provato un pizzico di ammirazione per il popolo britannico in occasione della preparazione e del giorno dei funerali della defunta sovrana! Tradizione, maestà e tanto orgoglio patriottico di chi sa di venire da una storia lontana, millenaria e gloriosa.

Eppure, subito dopo l’ultimo saluto all’amata regina, il Regno Unito ha dovuto affrontare una delle fasi più difficili sul piano finanziario degli ultimi decenni: la crisi della sterlina.

Ira dei mercati per piano in deficit

Mercoledì scorso, la Banca d’Inghilterra è dovuta scendere in campo per difendere i titoli di stato dal collasso ormai quotidiano sui mercati. I rendimenti erano esplosi sopra i livelli di Italia e Grecia e all’inizio della settimana il cambio contro il dollaro era precipitato ai minimi storici. Ad aggravare una crisi della sterlina già in corso da qualche mese c’è stato l’annuncio del piano del nuovo governo Truss contro il caro bollette e sul taglio delle tasse. La prima voce assorbirà 172 miliardi di sterline (198 miliardi di euro), la seconda fino a 45 miliardi (52 miliardi di euro).

Il cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, aveva presentato tale piano totalmente in deficit. E stiamo parlando di circa nove punti di PIL. I mercati non l’hanno presa bene e hanno iniziato a vendere titoli del debito pubblico britannico. I capitali defluiti da Londra hanno accelerato la crisi della sterlina, caduta fino a 1,035 contro il dollaro. La Banca d’Inghilterra ha dovuto rassicurare sul sostegno ai Gilt, promettendo acquisti fino a 5 miliardi di sterline al giorno e rinviando l’avvio delle vendite alla fine di ottobre.

Nessun “privilegio” per Londra

Nel fine settimana, la parziale marcia indietro della premier Liz Truss: stop al taglio delle tasse per i contribuenti più ricchi. Tra i Tories, c’è profonda insoddisfazione per una manovra fiscale scritta male e presentata peggio. Ma l’errore di fondo del governo britannico è stato uno: pensare di essere ancora ai tempi fastosi dell’impero. La Banca d’Inghilterra batté la valuta di riserva mondiale per un’ottantina di anni fino agli anni Venti del secolo scorso, quando dovette cedere lo scettro al dollaro. Sono passati cento anni, ma a Londra qualcuno era convinto forse che fossimo rimasti all’era vittoriana.

Cos’è una valuta di riserva mondiale? Trattasi di una moneta che il resto del mondo acquista e custodisce per le transazioni internazionali, confidandovi per la sua credibilità e stabilità. Chi la batte, esercita un “privilegio esorbitante” per dirla con le parole di Valery Giscard d’Estaing con riferimento al dollaro americano, quando fu ministro delle Finanze, prima che diventasse presidente della Repubblica francese.

Crisi della sterlina colpo ad orgoglio UK

In cosa consiste tale privilegio? Nel potersi indebitare a tassi bassissimi, anche se si rispetta poco la disciplina di bilancio. Emblematico il caso degli Stati Uniti di questi anni. Debito pubblico sopra il 120% del PIL, eppure il dollaro vola ai danni delle valute concorrenti e nessuno dubita neppure per scherzo della solvibilità dei T-bond emessi da zio Sam. Perché? Semplicemente perché il debito americano è emesso in una valuta acquistata da tutto il mondo per commerciare, specie per acquistare materie prime. L’alta domanda tiene i tassi bassi, il cambio alto e consente al popolo americano di avere la moglie ubriaca (debito) e la botte piena (tassi bassi).

Con la crisi della sterlina, Londra ha capito forse per la prima volta di non essere l’America, che la sua era imperiale sia finita.

Con un debito pubblico prossimo al 100% del PIL, il governo di Sua Maestà dovrà necessariamente seguire le regole di bilancio per riscuotere credibilità sui mercati. Il fatto che Londra sia una delle principali piazze finanziarie del pianeta non significa che attiri capitali a favore del debito britannico, quali che siano le condizioni macro. Un brutto colpo per l’orgoglio dei sudditi, che tra sfilate di teste coronate e protocolli reali ostentati in faccia al mondo avevano pensato di essere tornati impero. La realtà ha presentato subito il conto: l’economia funziona per loro esattamente come per qualsiasi altro paese al mondo. Fatta eccezione per gli USA, s’intende. Per ora.

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