Sarà che governare sia più difficile di ergersi a luminare dell’economia in fantomatici discorsi pubblici dinnanzi a una platea gaudente. Sarà che siamo letteralmente alla canna del gas, ma il Draghi-pensiero di queste settimane si sta distinguendo per posizioni a dir poco peculiari. A un’Europa che ha da pochi giorni varato il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, il premier italiano ha chiesto di imporre un tetto ai prezzi del gas. Facendosi interprete della linea del Sud Europa (Grecia, Spagna e Portogallo), da tempo batte su questo tasto.

E lo ha fatto anche alla recente visita alla Casa Bianca, quando ha chiesto al presidente Joe Biden di creare una sorta di “cartello dei paesi consumatori di petrolio”.

Tetto ai prezzi di petrolio e gas

In Europa, ad opporsi al tetto ai prezzi di petrolio e gas sono in prima fila Germania e Olanda. Perché? Difendono un’idea di libero mercato, che non è qualcosa di teorico. Secondo Draghi, se tutta Europa si unisse e dicesse ai paesi produttori di non voler pagare oltre un certo prezzo, necessariamente petrolio e gas diverrebbero più economici. Per Draghi, quindi, il mercato non funziona secondo la legge della domanda e dell’offerta, ma secondo minacce unilaterali.

E sarebbe pur vero in un mercato con un solo offerente e un solo acquirente. Invece, il mondo va oltre l’Unione Europea e persino gli Stati Uniti. Se minacciassimo di non acquistare il petrolio, per ipotesi, oltre 70 dollari al barile, semplicemente i paesi esportatori ci alzerebbero il dito medio in faccia. Nel giro di qualche giorno, pena restare senza una goccia di carburante per muoverci, illuminare le case o anche mantenere funzionanti gli ospedali, dovremmo richiamarli in ginocchio per venderci la materia prima a qualsiasi costo.

La responsabilità delle banche centrali nella crisi dell’energia

L’idea di Draghi su come risolvere la crisi è una tipica ricetta venezuelana del tetto ai prezzi.

I beni scarseggiano e costano troppo? E’ la speculazione, sono gli Stati Uniti che fanno la guerra economica e usano i loro sostenitori interni per ammassare le merci nei magazzini. Questo è il pensiero “elaborato” di decenni di socialismi isterici sudamericani, da Salvador Allende a Nicolas Maduro. Non ci aspettavamo che Draghi si accodasse a una narrazione così sempliciotta. Anche perché l’ex banchiere centrale avrebbe qualcosa da farsi perdonare. E a dirlo non è Pinco Pallino, bensì un signore di nome Jamie Dimon, presidente di JP Morgan, una delle principali banche d’affari al mondo.

In questi giorni, Dimon è su tutti i giornali economici per avere profetizzato la recessione dell’economia americana. Egli sostiene che la Federal Reserve non sarà in grado di alzare i tassi d’interesse senza far ripiegare il PIL. Allo stesso tempo, ha affermato che le banche centrali devono portare avanti la stretta monetaria per drenare liquidità in eccesso sui mercati e fermare la speculazione sulle materie prime.

Finalmente, qualcuno che chiama pane il pane. Draghi alla BCE ha inaugurato una linea di politica monetaria del “denaro facile”, che gli si sta ritorcendo contro adesso che è premier. Essa ha inondato i mercati di liquidità a bassissimo costo (reale negativo), con cui si acquistano non più solo asset finanziari come azioni e obbligazioni, bensì “commodities”. Capiamo che sia difficile per Draghi fare mea culpa su come abbia contribuito a sovvertire le leggi del mercato a colpi di tassi negativi e denaro a pioggia per tutti. Ma la succulenta ricetta venezuelana avrebbe dovuto risparmiarcela.

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