Il governo Truss è caduto ieri con le dimissioni della premier. La fronda nel Partito Conservatore cresceva di giorno in giorno dopo che si era dovuta rimangiare il taglio delle tasse, trasformandolo in un aumento delle stesse. L’esecutivo nacque maledetto solamente un mese e mezzo fa. Erano i primi di settembre e Liz Truss si recava nel castello di Balmoral per essere nominata capo del governo dalla Regina Elisabetta II, la quale muore solamente due giorni dopo. Da allora, annuncio di un piano di sostegno all’economia in deficit, crollo della sterlina, attacco speculativo sui mercati contro i Gilt, intervento della Banca d’Inghilterra per sedare il “sell-off”, licenziamento del cancelliere allo Scacchiere, nomina del successore, presentazione di un nuovo piano per aumentare le entrate.

Infine, lascia anche il ministro dell’Interno.

Truss è stata nel bunker per settimane e sulla sua testa è caduta persino una tegola da 11,175 miliardi di sterline. A tanto ammonta il trasferimento che il suo governo dovrà effettuare sul conto della Banca d’Inghilterra e di cui già ha versato 828 milioni. La storia forse ci dirà se la terza donna premier nella storia britannica sia stata più incompetente o sfortunata. C’è di vero che sull’esborso di questi giorni non aveva alcuna colpa. Esso è dovuto alle perdite accusate dall’istituto sugli 838 miliardi di sterline di asset rimanenti, acquistati con il “quantitative easing” (QE).

Le cose sono andate così. Tra il 2008 e fino a pochi mesi fa, la Banca d’Inghilterra ha acquistato Gilt per 875 miliardi di sterline, al fine di abbassarne i rendimenti e sostenere l’economia britannica. Le regole del QE in salsa londinese previdero la contestuale formazione di riserve presso le banche commerciali accreditate sul conto della banca centrale. Esse sono state sin dall’inizio remunerate al tasso d’interesse fissato ufficialmente.

Truss trafitta anche da Gilt e QE

Dunque, la Banca d’Inghilterra in tutti questi anni ha incassato le cedole sui Gilt in portafoglio e pagato alle banche commerciali un certo interesse.

Poiché le prime erano nettamente superiore al secondo, ha potuto maturare un utile di 120 miliardi di sterline, girato tra il 2009 e il 2021 al governo di Sua Maestà. Ora che i tassi d’interesse sono saliti al 2,25% e, in prospettiva, saliranno ulteriormente, il discorso si è capovolto: la Banca d’Inghilterra non produce più utili, ma subisce perdite. E il governo è tenuto a coprirle per garantire l’indipendenza dell’istituto.

Per il prossimo anno, se i tassi UK saliranno al 5%, le perdite rischiano di arrivare a una ventina di miliardi di sterline. Non solo. Gli 838 miliardi di Gilt ancora in portafoglio dovranno iniziare ad essere venduti dal mese prossimo. Poiché i prezzi di mercato sono precipitati con l’aumento dei tassi, la Banca d’Inghilterra subirà perdite anche da questo versante. Virtualmente, esse oggi ammontano sui 200 miliardi. Il rischio per Londra consiste nel dover fare austerità fiscale più di quanto immaginato in queste settimane, a causa degli effetti collaterali del QE.

In teoria, le regole potrebbero essere riscritte per sgravare il governo da un’incombenza di cui obiettivamente tutti farebbero volentieri a meno. Ma non sarà possibile dopo il caos finanziario scatenato dall’incompetenza del governo Truss. A rischio c’è la reputazione della Banca d’Inghilterra. Se le sue perdite non fossero più coperte dai contribuenti, come sin qui previsto, sui mercati potrebbe spargersi la sensazione che la banca centrale stia soccorrendo il governo e che la sua politica monetaria non sia indipendente. Ed è un giudizio con cui faranno i conti presto tutte le altre grandi banche centrali.

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