Le case d’investimento e le banche d’affari si mostrano sempre più convinte che il cambio euro-dollaro si porterà sulla parità entro la fine dell’anno. Addirittura, la stampa americana parla apertamente dell’ipotesi che possa scendere fin sotto di essa. Sarebbe la prima volta in venti anni a questa parte. Alla BCE il rialzo dei tassi si avvicina a rapidi passi proprio per escludere una simile ipotesi, dato che molti intravedono la discesa sotto la parità quasi come una sconfitta storica per l’euro, anzi come se si trattasse della fine dell’euro.

Ma stanno davvero così le cose?

L’altalena del cambio euro-dollaro

Per prima cosa, dobbiamo sapere che proprio nei primi anni di vita dell’euro il cambio contro il dollaro era sotto la parità. Siamo tra inizio 2000 e fine 2002, periodo in cui toccò un minimo di 0,83. In pratica, un euro comprava 83 centesimi di dollaro. Successivamente, man mano che fisicamente la moneta unica circolava negli stati e la sua adozione negli scambi internazionali cresceva, il cross saliva fino a toccare il suo massimo storico nell’estate del 2008. Poco prima del crac di Lehman Brothers, infatti, il cambio euro-dollaro sfiorò 1,60. E ancora prima che la BCE di Mario Draghi varasse i potenti stimoli monetari per aumentare l’inflazione, esso stava poco sotto 1,40. Persino quando la fine dell’euro fu realmente vicina – siamo nell’estate del 2012 – il cambio stava sopra 1,20, cioè era ben più forte di oggi.

Dunque, se il cambio euro-dollaro si portasse sotto la parità, torneremmo molto indietro negli anni, ma ciò non implicherebbe affatto la fine dell’euro. A parte la spiegazione squisitamente tecnica dell’evento, legata alla crescente divergenza monetaria tra Federal Reserve e BCE, c’è da dire che saremmo dinnanzi a un fatto puramente psicologico. Se un euro valesse tra qualche tempo un po’ meno di un dollaro, quale sarebbe il problema? Pensate che, ragionando dal lato degli americani, ancora oggi per loro un dollaro vale solamente 96 centesimi di euro.

E nel 2008, con un dollaro arrivarono a comprare appena 63 centesimi di euro. Avrebbero dovuto parlare di fine del dollaro? Chiaro che no.

La parità è una soglia che nulla ha a che fare con lo stato critico di una valuta. Ad esempio, tutti sappiamo quanto forte sia il franco svizzero. Eppure, un euro ancora oggi riesce ad acquistare 1,04-1,05 franchi. Ciò equivale ad affermare che un franco scambia contro 95-96 centesimi di euro. La Banca Nazionale Svizzera non sembra intimorita affatto della fine del franco. Anzi, fino al gennaio 2015 fece di tutto per impedire che il cambio scendesse sotto 1,20, cioè che un franco acquistasse più di 83 centesimi di euro.

Ma non c’entra la fine dell’euro

Se questo è vero, di certo c’è che non sia un buon momento per l’euro. Il cambio debole rispecchia un’economia nell’Eurozona stretta tra inflazione e rischio recessione. L’area resta in balia di eventi esterni e difficilmente governabili dai singoli governi e dalla stessa BCE. Soprattutto, esso riflette un’assenza quasi completa di iniziativa politica comune e credibile dell’unione monetaria. In una scala più grande, sta proiettando le caratteristiche storiche della Germania: gigante economico e nano politico. Ma l’economia cammina anche e spesso sulle gambe dei politici. Se questi mancano, arranca. Non sarà la fine dell’euro, ma il sintomo forte che qualcosa non va.

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