Basterebbe leggere il grafico dei rendimenti tedeschi per capire che qualcosa al board della BCE di domani potrebbe non andare come previsto. Il Bund a 10 anni rendeva il -0,72% al 28 agosto scorso, ieri risaliva ai massimi da oltre un mese al -0,53%. Quasi lo 0,20% in più in poche sedute, mentre il trentennale torna positivo dopo 5 settimane. In Italia non ci stiamo facendo granché caso, perché il rialzo dei rendimenti obbligazionari viene accompagnato dallo restringimento degli spread per via dell’evoluzione politica a Roma.

Ad ogni modo, è evidente che i bond stiano reagendo a qualcosa. A cosa? Al rischio che i mercati restino delusi dalla riunione dei governatori a Francoforte, chiamata a valutare l’adozione di nuovi stimoli monetari.

Il governatore Mario Draghi vorrebbe concludere il mandato con l’ultimo colpo da KO: taglio dei tassi “overnight” e ripristino degli acquisti di assets con il “quantitative easing”. Ma cresce l’opposizione interna al board, anche tra quanti solitamente si sono sempre schierati dalla parte dell’italiano. I due scettici usciti allo scoperto sono stati il francese François Villeroy de Galhau, secondo cui “la BCE non può fare miracoli” e l’irlandese Stefan Gerlach, che ritiene “ragionevoli alcune argomentazioni dei falchi” e invita Draghi a non legare le mani al successore. Stranamente, è il “falco” finlandese Olli Rehn a chiedere di agire, sostenendo che senza misure di sostegno all’Eurozona non ci sarebbero certo effetti collaterali, ma nemmeno l’economia si muoverebbe.

Altro siluro a Draghi arriva da Parigi, dal ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, secondo cui “la risposta (alla crescita) non può arrivare solo dalla BCE” e “siamo alla fine dell’efficienza della politica monetaria”. Probabile che la Francia voglia mettere la Germania con le spalle al muro, inducendola ad aprire i cordoni della borsa e a non confidare più sul sostegno monetario per attutire i contraccolpi della crisi in arrivo.

Per quanto il membro francese non abbia diritto di voto domani per via del meccanismo di rotazione, il dato politico sembra evidente: i nuovi stimoli pretesi dal governatore non sono più scontati. Come mai? Le condizioni economiche dell’area appaiono deteriorarsi, ma non a tal punto da richiedere un pronto intervento. L’unione monetaria cresce poco, ma cresce; l’inflazione resta sotto il target, ma non esisterebbero minacce deflattive. E, soprattutto, in tanti ritengono che Draghi non possa legare le mani al successore, quasi a volerne ipotecare l’operato per almeno una prima fase.

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E l’ex capo economista dell’istituto, il tedesco Juergen Stark, ha rimarcato come i tassi di mercato siano già troppo bassi, per cui farli scendere ulteriormente non sortirebbe alcun impatto positivo sull’economia. Inoltre, spiega, i rendimenti delle obbligazioni ormai non rispecchiano più i fondamentali, non captano i rischi e i continui interventi della BCE sembrano dovuti più alla necessità di dimostrare di possedere ancora sufficienti munizioni nella famosa cassetta degli attrezzi.

Riuscirà Draghi a trovare un accordo anche stavolta e a uscirne vittorioso o subirà proprio a fine mandato una clamorosa sconfitta? Le soluzioni intermedie consisterebbero in un taglio dei tassi sui depositi overnight di 20 punti base al -0,6%, accompagnato dal “tiering” per non infliggere ulteriori perdite alle banche. Quanto al QE2, difficile che possa tradursi in acquisti per una trentina di miliardi di euro al mese, come alcune previsioni tra gli analisti suggeriscono, mentre più probabile che o il programma sia dimezzato nell’entità rispetto alle aspettative o che la sua riattivazione venga lasciata alle decisioni della Lagarde, scenario che prende sempre più piede.

Sarebbe uno sgarbo nei confronti della francese che ella si ritrovasse con il lavoro praticamente già svolto dal predecessore, dovendosi limitare a procrastinarlo per mesi e al solo fine di non fornire al mercato un’immagine erratica della politica BCE.

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