Questa settimana, partecipando a un evento organizzato da Ania, l’associazione dell’industria assicurativa, il direttore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, è intervenuto sulla crisi dell’energia con parole che hanno fatto discutere. Il banchiere si è detto favorevole agli aiuti del governo a famiglie e imprese contro il caro bollette, ma ha altresì sostenuto la necessità che i prezzi del gas restino elevati per favorire la transizione ecologica. La logica sottostante tale affermazione è evidente: per ridurre le emissioni di CO2 serve che si produca più energia da fonti rinnovabili e meno dai combustibili fossili.

Finché la domanda per questi ultimi rimane elevata, l’offerta non scenderà significativamente. E quale modo migliore vi sarebbe di azzannare la domanda con prezzi alti?

Tecnocrati per alti prezzi del gas

Praticamente, mentre il sistema economico europeo rischia di collassare per via dell’esplosione dei prezzi del gas, ai piani alti di Bruxelles i “tecnocrati” in cuor loro gioiscono. Essi intravedono in questa crisi l’opportunità di imporre una volta per tutte la loro agenda green. Finora hanno dovuto superare le levate di scudi delle lobby legate alla “brown economy”, l’economia “sporca” legata al consumismo inquinante. Se i prezzi del gas restassero elevati a lungo, invece, nelle speranze dei tecnocrati si potrà favorire la transizione ecologica. Consumatori e imprese opteranno per l’energia solare, eolica, geotermica, idroelettrica e da biomassa.

Senonché Signorini finge di ignorare che proprio il boom dei prezzi del gas stanno riattivando le produzioni nelle miniere di carbone prima dismesse, dalla Cina alla Germania. Pur di sopravvivere all’inverno, i governi stanno puntando sulle energie sporche per aumentare l’offerta di energia. Anziché pulire il mondo, la crisi dell’energia in corso lo sta sporcando ulteriormente.

Transizione ecologica imposta da agenda green UE

Le parole di Signorini tradiscono la mentalità dirigistica che impera nell’Unione Europea.

Burocrati auto-referenziali impongono alcune misure e tendenze a centinaia di milioni di cittadini/consumatori e non vogliono sentire ragioni al riguardo. L’agenda green deve essere perseguita costi quel che costi. E così, ad esempio, dal 2035 non sarebbe più possibile produrre auto a benzina e diesel. Poco importa se alcuni studi paventano il rischio di favorire così la produzione di auto elettriche più inquinanti, tenuto conto dell’intero ciclo vitale.

La transizione ecologica, così come pretesa da Bruxelles, rischia di smantellare pezzi di industria europea a favore di quella cinese. Pechino è già più avanti di noi nella produzione di auto elettriche e beneficerà di tale vantaggio allorquando dovessimo abbandonare definitivamente le auto con motore a combustione. Per i tecnocrati alla Signorini, pur di centrare obiettivi sovranazionali sarebbe sacrificabile il benessere di un intero continente.

Queste affermazioni hanno il merito di accendere il dibattito circa la natura dei policy maker. Dopo decenni di idolatria della tecnocrazia in Italia, culminata durante la pandemia con l’osservanza ossequiosa ai dettami dei tele-virologi, finalmente sembra che la politica inizi ad aprire gli occhi circa la necessità di riconquistare uno spazio perduto. La rappresentanza di interessi economici e sociali non può essere delegata agli esperti di turno. C’è un abisso tra le aule universitarie e quelle parlamentari. Nelle prime si studiano concetti teorici, nelle seconde si traducono in norme pratiche, mediando tra interessi contrapposti. I tecnici non sono né culturalmente attrezzati, né investiti di tale ruolo per farlo. Serve la supremazia della politica per far sì che affermazioni come quelle di Signorini restino confinate alle aule di qualche conferenza.

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