Questo giovedì, il board della BCE ha alzato i tassi d’interesse per la terza volta consecutiva. Analogamente al mese di settembre, li ha inaspriti dello 0,75%. Pertanto, il tasso di riferimento è salito al 2%, il tasso sui rifinanziamenti marginali al 2,25% e il tasso sui depositi bancari all’1,50%. In teoria, buone notizie per le banche dell’Eurozona, che grazie all’aumento del costo del denaro possono confidare su margini d’interesse più alti. Invece, l’altro ieri è arrivata per loro una cattiva sorpresa, sebbene non sia stato un vero fulmine a ciel sereno.

Già da giorni, infatti, si dibatteva circa la necessità di rivedere i termini e le condizioni delle aste T-Ltro. Sin dal 2014, Francoforte eroga prestiti alle banche, finalizzati a sostenere il credito alle famiglie (esclusi i mutui) e alle imprese. Tassi molto bassi e durata medio-lunga. Con la pandemia, tali condizioni furono ulteriormente migliorate per i beneficiari: tassi BCE fino al -1% sui prestiti della durata massima di tre anni.

Grazie a queste aste T-Ltro III – così chiamate perché sono state il terzo ciclo di questo genere di sostegno al credito – le banche dell’Eurozona ottennero durante la pandemia 2.100 miliardi di euro. Di questi, 460 miliardi sono andati a istituti francesi, 432 a italiani e 404 miliardi a tedeschi.

Aste T-Ltro, cambiate le condizioni

Con la necessità di combattere l’inflazione, questo eccesso di liquidità risulta adesso ingombrante. Ma il vero punto è un altro: il rialzo dei tassi BCE rende conveniente per le banche depositare presso la stessa Eurotower la liquidità ottenuta. Su di essa, ha finora pagato un interesse del -1% per ottenere fino allo 0,75%. Se le condizioni fossero rimaste uguali, le banche avrebbero aumentato ulteriormente i profitti, grazie al differenziale tra tassi attivi e passivi.

E così, la BCE ha cambiato le carte in tavola. Giovedì ha comunicato che dal 23 novembre pretenderà sui prestiti erogati con le aste T-Ltro un tasso d’interesse pari alla media ponderata dei tassi BCE di riferimento.

In altre parole, fine della pacchia. Sui 1.100 miliardi stimati parcheggiati a Francoforte, le banche pagheranno non più il -1%, bensì il 2%. Decine di miliardi di euro di profitti già considerati nel cassetto se ne vanno in fumo.

Non è stata l’unica notizia negativa per le banche. Il board ha anche deciso che remunererà le loro riserve obbligatorie ai tassi BCE vigenti per i depositi (alzati a 1,50%). Fino a questa settimana, erano remunerate al più alto tasso di riferimento (al 2% dopo giovedì). In soldoni, le banche dell’Area Euro riceveranno minori interessi sulla liquidità che devono obbligatoriamente accantonare per ragioni regolamentari. E pagheranno di più sui prestiti che avevano ricevuto a tassi negativi.

Tassi BCE, fine di un’era

Non si escludono ricorsi legali, dato che si è trattato di un cambiamento normativo retroattivo. Tuttavia, il vero nodo è un altro: d’ora in avanti, la credibilità della BCE risulterà affievolita quando annuncerà una misura di politica monetaria. Le banche non avranno ragione di credere che le eventuali condizioni loro offerte non saranno cambiate anche in futuro. Se non si fidassero, non berrebbero dall’acqua loro versata. Si rischia di nullificare l’efficacia della politica monetaria.

Si riduce ovviamente la convenienza a detenere troppa liquidità in eccesso parcheggiata alla BCE. Tant’è che questa ha fissato tre date entro le quali i beneficiari potranno rimborsare anticipatamente i prestiti T-Ltro. Un modo gentile per fare pressione sulle banche, affinché restituiscano quanto prima il malloppo. Resta da capire quale possa essere l’impatto di tale misure sul mercato del credito. Ad oggi l’unica certezza è che Francoforte si vergogna di avere “regalato” vagonate di euro a soggetti che li hanno perlopiù utilizzati per operazioni di finanza speculativa nel migliore dei casi, parassitarie nel peggiore.

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