Mentre l’Italia si avvicina alle elezioni politiche senza conoscere ancora ufficialmente almeno uno dei candidati premier per i principali schieramenti, la politica sembra essere stata investita da un vento di ringiovanimento nel mondo (Macron, Tsipras, Trudeau, etc.) e anche da una presenza femminile ai vertici dei partiti e delle istituzioni sempre più influente. Domenica prossima, ad esempio, la Germania dovrebbe consegnare alla cancelliera Angela Merkel l’ambito quarto mandato, che la farebbe entrare nella storia tedesca e non solo, governando senza interruzioni già dal 2005.
Il suo carattere cocciuto, la sua capacità di resistere alle critiche di decine di governi europei da un lato e di trovare soluzioni di compromesso dall’altro, ne hanno fatto una nuova Lady di Ferro. E il pensiero di tutti corre, infatti, a un’altra donna influente della politica passata, una figura divisiva anche dopo la morte: Margaret Thatcher. Divenne premier nel maggio del 1979 e vi rimase fino al novembre del 1990. Sotto di lei, si è soliti scrivere, il Regno Unito venne rivoltato come un calzino: privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, abbassamento delle tasse, liberalizzazioni e lotta all’inflazione furono i punti programmatici salienti del suo programma di governo. Odiata a sinistra e dai sindacati (i minatori hanno conosciuto sulla loro pelle quanto tenace fosse la prima donna premier britannica), è diventato un simbolo quasi intoccabile per il mondo conservatore di tutto il mondo.
Un’altra donna a capo del governo è rimasta nell’immaginario collettivo quale figura carismatica e al tempo stesso segno di forza. Parliamo dell’israeliana Golda Meir, esponente laburista, che governò 5 anni dal 1969 al 1974, ma in tempi piuttosto difficili per lo stato d’Israele, nato da appena un ventennio. Dovette affrontare la guerra del Kippur, il confronto militare con Egitto e Siria, la strage di Monaco del 1972, quando 11 atleti israeliani furono uccisi per mano terrorista, e la crisi petrolifera del 1973. Di lei oggi si dice ironicamente a Tel Aviv che sia stata “l’unico vero uomo” del paese.
Altra figura molto controversa e battagliera è stata Cristina Fernandez de Kirchner, presidente dell’Argentina dal 2007 al 2015, succedendo al marito Nestor, che morì dopo un solo mandato. Esponente del peronismo di sinistra, sotto di lei Buenos Aires si è isolata sul piano finanziario e degli stessi rapporti diplomatici, legandosi sostanzialmente solo alle altre economie latino-americane, oltre che a Cina e Russia in funzione anti-USA. Nonostante le difficoltà dell’economia argentina, ha saputo farsi interprete di quella parte del paese che vede male il capitalismo occidentale e che ambisce a un modello alternativo. La donna è rimasta in campo, avendo fondato di recente un suo partito, con il quale intende tornare a Casa Rosada.
In tema di donne forti e dal carattere non facile troviamo Julia Tymoshenko, premier ucraina nel 2005 e tornata al governo tra la fine del 2007 e il marzo del 2010.
Tre flop al femminile
Non tutte le ciambelle riescono col buco, però. Anche tra le donne si registrano alcuni flop clamorosi. Prendiamo Hillary Clinton, che un anno fa di questi tempi sembrava essere a un passo dal tornare alla Casa Bianca, ma non più come First Lady, bensì nelle vesti di primo “commander in chief” negli USA di sesso femminile. E alle elezioni presidenziali dell’8 novembre non si aspettava quasi nessuno, sondaggisti per primi, che a trionfare sarebbe stato nelle ore successive il rivale repubblicano Donald Trump. Il sogno di diventare la prima donna presidente degli USA finiva in un mare di lacrime, versate poco prima dell’alba del 9 novembre scorso. Pur restando un punto di riferimento per la sinistra americana, di recente ha confermato la sua intenzione di non correre più per alcuna carica elettiva. (Leggi anche: Elezioni USA: Clinton sconfitta, Trump presidente)
Anche l’Europa ha avuto la sua donna presidente mancata. Trattasi di Marine Le Pen, che avrebbe avuto tutte le carte in regola per entrare all’Eliseo nel maggio scorso, riuscendo persino ad approdare al ballottaggio. La sua vittoria avrebbe messo in crisi la UE e l’euro e forse proprio la paura per l’ignoto tra gli elettori l’avrebbero danneggiata.
E che dire di Theresa May? In carica come premier britannico da poco più di un anno, è la seconda donna a guidare un governo a Londra, anch’ella appartenente al Partito Conservatore della Thatcher. Diversamente da quest’ultima, però, a Downing Street non ci è arrivata tramite elezioni, bensì succedendo al dimissionario David Cameron, dopo la sconfitta subita al referendum sulla Brexit del giugno 2016. Nel maggio scorso, chiese e ottenne lo scioglimento del Parlamento, confidando in sondaggi fin troppo positivi per i suoi Tories, dati avanti di 24 punti percentuali sui laburisti. Alle elezioni anticipate di giugno, tuttavia, non riesce nemmeno a mantenere la maggioranza assoluta dei seggi, costringendo il suo partito a un’umiliante coalizione con gli unionisti irlandesi, quando la destra avrebbe dovuto guadagnare finanche un centinaio di seggi, triturando le opposizioni. La sconfitta di fatto è stata addebitata proprio alla scarsa empatia della May. (Leggi anche: Elezioni UK, risultati shock: conservatori senza maggioranza)
E in Italia? Tra i partiti presenti in Parlamento, solo uno è guidato da una donna: Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Le probabilità che ella diventi anche premier rasentano lo zero, così come appare ancora abbastanza difficile che da qui a breve si abbia un premier a Palazzo Chigi. Ma la storia è molto mutevole. Nel 1978, una certa Signora Thatcher alla domanda se a Londra potesse esservi da lì a poco un premier donna rispondeva: “Non penso che il Regno Unito sia pronto a questo”. Un anno dopo s’insediava a Downing Street, restandoci per 11 anni e mezzo.