Sognava la rimonta, ha incassato la batosta. Come i pifferai che scesero dalla montagna per suonare e furono suonati. Il Partito Democratico è nella crisi più nera. Non esiste alcun effetto Schlein, perlomeno non positivamente. La segretaria lo ha ammesso senza fronzoli, anche perché vedere il bicchiere mezzo pieno dopo i risultati delle elezioni amministrative di ieri era praticamente impossibile. Sui sette comuni capoluogo di provincia ai ballottaggi, cinque sono andati al centro-destra, tra cui la “rossa” Ancona per la prima volta.

A Terni la sfida era tutta a destra, mentre l’unica consolazione per il Nazareno è stata la vittoria a Vicenza per soli 500 voti sul sindaco uscente.

Centro-destra dilaga da Nord a Sud

In Sicilia e Sardegna si teneva, invece, il primo turno. Nella prima andavano al voto quattro comuni capoluogo: Catania, Siracusa, Ragusa e Trapani. Nella città etnea ha trionfato il candidato del centro-destra con oltre il 65% dei consensi. Enrico Trantino ha trafitto Maurizio Caserta, che correva per il “fronte largo”, cioè includendo Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. Si è fermato intorno al 23%. A Siracusa la sinistra non è riuscita ad accedere al ballottaggio, scavalcata dal candidato del Terzo Polo. A Ragusa netta affermazione del sindaco uscente – un centrista – con quasi i due terzi dei voti. Invece, a Trapani è stato rieletto il candidato del centro-sinistra.

I ballottaggi sono stati storicamente ostici per il centro-destra, penalizzato dalla scarsa affluenza. Ma da qualche tempo avviene il contrario. La bassa affluenza colpisce di più il centro-sinistra. Soprattutto, dove l’alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle c’è stata sin dal primo turno, il risultato è stato ugualmente tra il deludente e il disastro totale. Fa pensare che a Vicenza il candidato Giacomo Passomai abbia preteso che Elly Schlein e gli altri dirigenti del partito non si presentassero in città in campagna elettorale. E anche dopo essere stato eletto ha dichiarato che la sua vittoria sarebbe dovuta al fatto di avere parlato di cosa fare per i vicentini e non di governo nazionale.

Disfatta elettorale spiegata dal dogmatismo della sinistra

Non esistono spunti positivi per il Partito Democratico. Perde anche nelle sue roccaforti storiche. Sono passati solo tre mesi dall’insediamento di Schlein a capo della segreteria. Questo è per lei un’attenuante, ma d’altra parte non si nota un cambio di linea vincente. Anzi, c’è il rischio che di sconfitta in sconfitta la sinistra diventi irrilevante. Non è un fenomeno esclusivamente italiano. In sette giorni c’è stata prima la sconfitta sonora della sinistra in Grecia alle elezioni politiche e dopo di quella spagnola alle amministrative. Soffia un vento di destra in tutta Europa, non a caso.

Il segreto della disfatta elettorale perenne del Partito Democratico si chiama dogmatismo. C’è qualcosa che accomuna il Partito Comunista di un tempo e il Nazareno di oggi, cioè l’eccesso di ideologia. Il posto del marxismo lo hanno preso l’europeismo acritico, l’ecologismo, il radicalismo sui diritti Lgbt e l’immigrazionismo. Se questi dogmi si scontrano con la realtà dei fatti, per la sinistra italiana è la seconda ad essere sbagliata e che va cambiata. L’esempio più incredibile di tale dogmatismo è il PNRR: il governo tratta con l’Unione Europea per cambiarlo, ma il Partito Democratico è contrario. Intravede in questo atto un reato di lesa maestà. Poi arriva la tragica alluvione in Emilia-Romagna e Schlein è costretta ad chiedere di modificare il PNRR per destinare maggiori risorse alla tutela del territorio.

Altro esempio di dogmatismo è la crisi dei migranti. Bruxelles ignora il dramma e scarica su Roma la gestione dei flussi. Per il Partito Democratico il problema è di chi fa notare questa ipocrisia europea. Per non parlare dell’incapacità di ascolto di chi, vivendo in periferia o in città, lamenta una carenza di sicurezza legata in buona parte all’immigrazione fuori controllo.

E mettere in discussione la scelleratezza delle scelte europee sulla “green economy” è diventato reato di opinione. Addirittura, un quotidiano vicinissimo a Schlein invoca il reato di negazionismo del cambiamento climatico. Come fa il Partito Democratico a pensare che possa essere votato dalla classe operaia, se pretende di imporre a tutti l’acquisto di un’auto elettrica per la quale occorrono oggi due annualità di stipendio medio?

Radicalizzazione del Partito Democratico con Schlein

I primi segnali che arrivano dopo l’ennesima disfatta elettorale non incoraggiano. Schlein non ha fatto autocritica e né la farà, bensì ha fatto intendere che la soluzione sarebbe costruire il “campo largo”. Una sommatoria di sigle, insomma, pur prive di un filo conduttore e di una visione comune. Non ha il dubbio che ad essere stato respinto dagli italiani sia il suo progetto di società. Il dogmatismo è una costante della sinistra italiana, che sempre l’ha resa minoritaria. Ma almeno il PCI aveva come riferimento la classe contadina e operaia.

Adesso, sarebbe troppo facile scadere nella battuta per cui il Partito Democratico sia diventato il riferimento delle sole zone Ztl. Il fatto è che è vero. E anch’esso è un fenomeno sempre più globale. La sinistra ha buone chance di vittoria laddove i redditi sono così alti da consentire riflessioni ideologiche a scapito del vissuto quotidiano. Schlein rischia di trasformare il Partito Democratico in una sorta di partito radicale un po’ più grande. Con la differenza che quest’ultimo, pur idealista, fu anche aperto alle trasformazioni della società e della politica e interloquiva con tutti. Con Schlein è diventato impossibile persino intavolare un dialogo sulla riforma costituzionale. In fatto di moderazione e pragmatismo è stata scavalcata persino dai possibili alleati pentastellati. Non mancherà molto prima che i mugugni interni diverranno veri e propri siluri pubblici.

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