Stanchi delle politiche di austerità fiscale? Ditelo ai dati della Ragioneria dello Stato, secondo i quali l’Italia è una repubblica fondata sulla spesa pubblica. Sì, ma dopo anni di tagli qua e là, la sensazione comune è che le uscite della Pubblica Amministrazione siano state stavolta veramente ridotte all’osso. Nulla di più sbagliato e conti alla mano. Se nel 2005, lo stato italiano spendeva per ciascun residente 12.979 euro, nel 2014 sborsa la bellezza di 14.612 euro pro-capite, il 12,6% in più, che sembra poco in un decennio, ma si tenga conto che parliamo di una lunga fase di contrazione del pil, a conferma che nonostante la grave crisi accusata dalla nostra economia, la spesa pubblica ha continuato a salire.

Nello stesso arco di tempo, il reddito pro-capite è cresciuto di appena il 3,1% a 26.551 euro. Per essere ancora più chiari, su base annua abbiamo registrato una crescita media del reddito pro-capite dello 0,3%, a fronte di un +1,2% messo a segno dalla spesa pubblica, la cui velocità di crescita è stata, quindi, di quattro volte superiore. (Leggi anche: Spesa pubblica senza freni, ma quale austerità!)

Il settore pubblico ha spiazzato quello privato

Poiché nel decennio considerato non vi è stata crescita della ricchezza nominale prodotta dal settore privato, tanto che la produzione industriale si è contratta di un quarto, otteniamo come risultato che l’incidenza dello stato nella creazione dei redditi degli italiani è salita dal già altissimo 50,4% del 2005 al 58,8% del 2014.

Quindi, l’Italia è cresciuta di pochissimo e solo grazie alla Pubblica Amministrazione mastodontica. Lungi dall’essere una consolazione, il dato emerso pone in evidenza una sorta di spiazzamento del settore pubblico ai danni di quello privato. Più è alta l’incidenza della spesa pubblica sulla ricchezza complessivamente prodotta, maggiore è il grado di influenza degli apparati statali della vita economica di un paese, così come più alte tendono ad essere le inefficienze, dato che una quota crescente del reddito viene intermediata organismi che non si pongono quale obiettivi primario il raggiungimento dell’efficienza produttiva.

(Leggi anche: Risparmio famiglie crollato dell’80% in 20 anni, redditi fermi)

 

 

 

 

Al Sud il reddito è quasi la metà di quello del Nord-Ovest

Se passassimo dai dati nazionali a quelli per le macro-aree, ne vedremmo delle belle. Il Sud, infatti, aveva nel 2015 un pil pro-capite di appena 17.800 euro, il 44,2% più basso di quello del Centro-Nord. Il più elevato si registra nel Nord-Ovest con 33.400 euro, seguito dai 32.300 del Nord-Est e dai 29.300 euro del Centro. L’unica area, però, dove il pil pro-capite risulta cresciuto dal 2011 è il Nord-Est, dove si attestava a 31.900 euro un lustro fa.

Questi ultimi sono dati Istat, che mettono in luce anche un traino delle esportazioni da parte del Sud, dove sono cresciute lo scorso anno del 10,6%, 20 volte in più della media nazionale (+0,5%), mentre si sono contratte nel Nord-Est (-0,8%) e nel Nord-Ovest e Centro sono aumentate solo dell’1,5%. Ma nelle Isole maggiori, c’è stato un crollo 21,3%. (Leggi anche: Licenziare i dipendenti pubblici, il nuovo partito per risolvere la crisi)

Ora, considerando che le regioni meridionali siano scarsamente popolate da imprese, specie ad alto valore aggiunto, e che l’incidenza dei dipendenti pubblici sul totale degli occupati è più alta che nel resto d’Italia, non è difficile ipotizzare che qui la spesa pubblica possa costituire anche più dei due terzi del reddito complessivo. Se da un lato consente all’economia del Sud di mantenere a stento standard di vita occidentali, dall’altro rappresenta un grosso limite al suo rilancio.