L’economia circolare resta un obiettivo lontano, specie in alcune realtà del pianeta, come le economie emergenti, ma le multinazionali corrono ai ripari contro il rischio di essere percepiti quali responsabili dell’inquinamento ambientale da parte di consumatori sempre più sensibili al tema del riciclo dei rifiuti. E così, se Danone ha annunciato la settimana scorsa che la produzione di acqua imbottigliata tramite il marchio Evian avverrà entro il 2025 con il 100% di plastica riciclata, adesso anche Coca Cola segnala di volersi impegnare seriamente in favore dell’ambiente.

Il ceo James Quincey ha annunciato che il colosso mondiale del beverage cercherà di utilizzare lattine e bottiglie per il 50% da materiale riciclato entro il 2030 e che per ogni lattina o bottiglia venduta, ne raccoglierà altrettante, in modo da ridurre fortemente l’impatto della sua produzione. (Leggi anche: Riciclare la plastica è più urgente con la chiusura delle frontiere cinesi)

Nel mondo, si stima che si vendano attualmente sui 480 miliardi di bottiglie di plastica in un anno e la sola Coca Cola sarebbe responsabile di 100 miliardi di unità vendute. In più, la diretta concorrente Pepsi Cola aveva annunciato da tempo l’obiettivo di produrre con materiali riciclati al 100% entro il 2025. Dunque, serviva davvero lanciare un segnale, onde evitare di essere additata dall’opinione pubblica mondiale quale irresponsabile o insensibile sul fronte dei rifiuti. Anche la catena dei panini McDonald’s si è impegnata di utilizzare per il packaging materiali interamente riciclati entro il 2025.

Aldilà delle buone intenzioni, quella del riciclo dei rifiuti è un’economia come le altre e come tutte le economie è caratterizzata dalla legge fondamentale della domanda e dell’offerta. Da quest’anno, la Cina ha chiuso le sue frontiere alle importazioni di plastica e carta, con la conseguenza che il resto del mondo non sa improvvisamente dove andare a scaricare milioni di tonnellate di rifiuti all’anno.

Da qui, la “scoperta” della sensibilità ecologista, ma che sta già costando cara alle imprese, visto che l’impennata della domanda di plastica riciclata ne sta facendo salire i prezzi, rendendo più costosa l’alternativa della produzione con materiali riciclati.

E’ il petrolio a guidare il riciclo dei rifiuti

Tuttavia, paradossale che possa apparire, una mano al riciclo dei rifiuti la potrebbe dare proprio il petrolio in questa fase. Dal greggio si estrae la plastica e se questo aumenta di prezzo, inevitabilmente diventerà più costoso produrre con materiale vergine, rendendo più profittevole l’alternativa. E’ accaduto l’esatto contrario negli ultimi anni, essendo crollate le quotazioni del petrolio e con la conseguenza che la plastica riciclata era divenuta un costo relativamente non conveniente rispetto a quella vergine. Certo, si faccia attenzione che, per quanto in risalita a 70 dollari al barile, il greggio oggi quota ancora a circa i due terzi i livelli toccati a metà 2014, anche se da allora il dollaro ha guadagnato mediamente oltre il 10% contro le altre divise, per cui le distanze reali dei prezzi rispetto ad allora sarebbero inferiori, almeno per i consumatori non americani.

Il discorso resta uguale anche per le altre materie prime. L’alluminio, ad esempio, è tornato ormai ai livelli di quasi sei anni fa, dopo che il suo prezzo per tonnellata è balzato del 55% dai minimi di novembre del 2015. Insomma, il trend appare positivo per l’industria del riciclo, purché duri. La ripresa delle quotazioni del petrolio, in particolare, appare fragile, perché si regge sull’accordo tra OPEC e Russia per tagliare la produzione ed eliminare così l’eccesso di offerta sul mercato globale. Se il trend s’invertisse, la sensibilità sul tema del riciclo da parte delle multinazionali svanirebbe con la stessa velocità con la quale è esplosa negli ultimi mesi.

(Leggi anche: Guerra alla plastica: entro il 2030 sarà tutta riciclabile)

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