Due giorni fa è ricorso il decennale del “whatever it takes”, un capitolo che segnerà una svolta nella reputazione e nella carriera di Mario Draghi. Da pochi mesi governatore della BCE, si trovava a Londra nel corso di una seduta drammatica. Lo spread era esploso in tutto il Sud Europa e diversi economisti e analisti finanziari profetizzavano la scomparsa imminente dell’euro. Improvvisando un discorso per rasserenare gli animi, dichiarò che la BCE “avrebbe fatto tutto ciò che serviva” per difendere la moneta unica.

Aggiunse: “e credetemi, basterà”.

Dal whatever it takes al governo di Roma

In effetti, sembrò bastare. Le parole furono accompagnate dal varo di uno strumento di difesa dei bond dagli spread. Nacque così l’OMT, ancora oggi una delle principali linee di difesa partorite a Francoforte contro la speculazione. Tuttavia, non fu mai utilizzato per via delle elevate condizionalità di cui il piano fu corredato.

Il whatever it takes segnò una cesura nella vita dell’euro. Da allora, la BCE s’imbarcò in potenti stimoli monetari con i quali Draghi cercò di sostenere l’economia dell’Eurozona e, in particolare, gli stati indebitati del Sud. Pian piano, furono adottati tassi negativi, programmi di acquisto dei bond, aste di liquidità per le banche a medio-lungo termine e a basso costo. La BCE s’italianizzò. La Bundesbank alzò la voce, ma la cancelliera Angela Merkel ne tenne a bada l’opposizione nel board, convincendosi che l’alternativa al whatever it takes di Draghi fosse la disgregazione dell’euro.

Verso l’ex governatore c’è a tutt’oggi un debito di riconoscenza in tutta Europa, se non nel mondo. La sua politica monetaria preservò la stabilità finanziaria nell’Eurozona e forse anche la tenuta delle istituzioni politiche. Anche per questo, quando assunse il comando del governo italiano nel febbraio 2021, le aspettative furono elevatissime, così come il clima disteso verso Roma presso le cancellerie straniere.

Altro epilogo in Italia

Tuttavia, a governo caduto non possiamo affermare che il miracolo del whatever it takes sia stato replicato sul piano politico. I dati macro dimostrano che l’economia italiana sotto Draghi rimbalzò l’anno scorso dopo il crollo dovuto alla pandemia. Ma le perdite del Covid restano in misura superiore a paesi come Germania e Francia. Nel 2023, stando alle previsioni della Commissione, il PIL italiano crescerebbe solo dello 0,9%, fanalino di coda nel continente. In pratica, Draghi non ha bissato il successo della BCE.

Il tempo a sua disposizione è stato certamente limitato, ma c’è anche da aggiungere che il premier dimissionario aveva puntato tutto sul PNRR. Ad oggi, prestiti e sussidi europei non sembrano fare la differenza, né sono stati spesi del tutto. Il rischio per noi italiani consiste nel dover sostenere costi superiori ai benefici ricevuti entro la fine del programma del 2026. Inoltre, l’economia sta accusando in tutta Europa una grossa frenata a causa sia della crisi energetica provocata dalla guerra russo-ucraina, sia dell’alta inflazione scatenata dai colli di bottiglia in fase di produzione con la pandemia e anche dalle misure di politica monetaria seguite dalle banche centrali in tutti gli anni passati, tra cui proprio la BCE di Draghi.

Draghi oggi vittima del suo successo

Il salvataggio dell’euro ha avuto costi elevati, nascosti dalle lodi sperticate al whatever it takes. I risparmi sono stati sacrificati sull’altare dei debiti. Imprese decotte sono state tenute in vita a discapito dell’efficienza del mercato. Governi spendaccioni sono stati sostenuti alla faccia della solidità fiscale. Ingenti flussi di denaro sono andati a finire nelle mani della speculazione, ampliando il divario tra fasce della popolazione e certamente non sulla base di un qualche merito.

E, soprattutto, una volta che l’immensa liquidità ha iniziato ad affluire sul mercato dei beni e dei servizi, l’inflazione è esplosa, decimando particolarmente il potere di acquisto dei redditi fissi.

Se in questi mesi Draghi si fosse trovato ancora alla BCE, più che per il suo whatever it takes sarebbe stato ricordato per avere riportato nel cuore d’Europa l’inflazione quasi alla doppia cifra. Ha avuto la “fortuna” di trovarsi a Palazzo Chigi, dove la sua fama ha sovrastato i risultati tangibili. E, però, la narrazione prima o poi è raggiunta e superata dalla realtà. Chiedere a tale Matteo Renzi per credere. Passò dall’essere osannato a vilipeso prima ancora che se ne rendesse conto. Forse anche per questo Draghi ha scelto di forzare la mano sulla crisi di governo, volendo uscire di scena il prima possibile.

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