Il mercato dei diamanti sta vivendo una fase cruciale di passaggio verso una nuova era, caratterizzata da un cambio di costumi, che sta colpendo non poco l’industria delle pietre preziose. Lo scorso anno, stando al primo produttore mondiale De Beers, le vendite sono aumentate complessivamente di appena lo 0,3% a quota 80 miliardi di dollari, ma in valore sono diminuite del 4,8% in Cina e del 13% in India, rispettivamente primo consumatore e primo produttore di diamanti nel mondo. In controtendenza gli USA, dove le vendite sono aumentate del 4,4%.

Una delle cause della crisi dei diamanti degli ultimi 6 anni si chiama “millenials”. I ragazzi nati tra il 1980 e la metà degli anni Novanta, che dovrebbero rappresentare un target florido per questo mercato, in tutte le economie avanzate segnalano di guardare con meno passione alle pietre preziose, sia perché rispetto alla generazione dei genitori hanno spesso minori disponibilità economiche, sia perché si sposano molto meno e più tardi che in passato (e il matrimonio è uno degli eventi a cui è maggiormente legato il mercato dei diamanti), sia pure perché tendono a spendere di più per beni percepiti come più utili, come l’elettronica di consumo. Per non parlare, infine, della scoperta di una ricerca effettuata dall’industria negli USA, dove emergerebbe che grossa parte dei giovani americani oggi non vedrebbe di buon occhio lo sfoggio di preziosi, che nell’immaginario collettivo vengono considerati “classisti”. Insomma, i “millenials” sarebbero meno propensi a spendere per veicolare il proprio status sociale. (Leggi anche: Diamanti, De Beers sfata il mito dei giovani poco interessati alle gemme preziose)

Per questo, De Beers investirà quest’anno 140 milioni di dollari in pubblicità, l’importo più alto dal 2008, nel tentativo di stimolare le vendite. Ex monopolista del mercato mondiale delle gemme preziose, oggi ne detiene una fetta pur importante di un terzo. Si deve alla società controllata da Anglo American lo storico slogan di successo “un diamante è per sempre”.

Ma i tempi cambiano e se la nascente classe media cinese aveva fatto ben sperare per questo mercato, le cose si starebbero facendo più complicate.

Sfida ai diamanti anche in Cina

Secondo il ceo di De Beers, Bruce Cleaver, una delle maggiori sfide che bisognerà affrontare nei prossimi anni è l’esplosione del turismo di lusso in Cina. La seconda economia del pianeta è prima per numero di turisti all’estero, che l’anno scorso sono stati 135 milioni, il 10% della popolazione complessiva, i quali hanno speso 261 miliardi, il 12% in più del 2015. Tra questi, molti hanno optato per vacanze di lusso, ovvero per destinazioni inaccessibili ai più sul piano economico, ma con la conseguenza che sarebbero state sottratte risorse alla domanda di diamanti.

In sostanza, i benestanti cinesi – ma lo stesso discorso potrebbe valere per gli altri popoli – starebbero preferendo spendere i loro soldi in maniera più godereccia, infischiandosene di beni simbolo di un certo status sociale. Occorre correre ai ripari, perché se la tendenza si consolidasse e tra i giovani scomparisse del tutto una certa propensione ad acquistare oggetti preziosi, sarebbe il declino di questa particolare industria. (Leggi anche: Mercato diamanti in ripresa grazie ai giovani, quelli cinesi ne vanno matti)

La rivoluzione del blockchain

I diamanti, a differenza dell’oro, non sono considerati commodities, quanto meno non sono riconosciuti tali da tutti. La caratteristica principale di una materia prima negoziata sui mercati sta, infatti, nella fungibilità. Un’oncia di oro 24 carati è quotabile, grazie al fatto che essa risulta uguale a qualsiasi altra oncia, mentre ogni diamante è diverso dall’altro e una valutazione generale non è possibile, dipendendo da svariati fattori, quali il colore, la lucentezza, il carato, la forma, etc. Non esiste ad oggi, infatti, una borsa dei diamanti, anche se di recente un tentativo simile è nato in Asia con il Singapore’s Diamond Investment Exchange.

Ma la vera rivoluzione in corso la sta facendo “blockchain”, il sistema utilizzato per i pagamenti digitali, alla base del funzionamento dei Bitcoin, tra l’altro. Una società con sede a Londra, Everledger, sta sfruttando questa tecnologia per tracciare ben 1,6 milioni di pietre preziose, ciascuna delle quali viene associata a decine di caratteristiche, in modo da averne una descrizione esatta. La società sta facendo lo stesso con altri beni di lusso, tra cui le bottiglie di vino di alta qualità. Grazie a questa tecnologia, viene rimossa la principale barriera alla base della mancanza di una borsa dei diamanti. Infatti, se ad oggi non è stato possibile tenere alto il grado di liquidità di questo mercato, come accade per l’oro, essendo necessaria una valutazione pietra per pietra, adesso non solo diventa possibile per qualunque acquirente verificare le caratteristiche del diamante che intende acquistare, ma grazie all’ampio database, le banche eviteranno di restare vittime di truffe con l’erogazione di doppi e tripli finanziamenti e il mercato stesso avrà una garanzia di qualità e sulla sicurezza della transazione, nonché sarà a conoscenza se un diamante sia stato prodotto o meno in laboratorio. (Leggi anche: Investire in diamanti? Nasce un mercato per il trading)

Mai più diamanti insanguinati con la tecnologia

Di recente, Amazon ha scoperto, ad esempio, che una pietra preziosa venduta sul suo sito risultava già essere stata venduta. Smascherando la società, l’ha espulsa immediatamente dalla sua vetrina, impedendole di continuare a vendere. Per non parlare di una delle ragioni della crisi dei diamanti, ovvero dell’aumentata sensibilità tra i consumatori sulla loro provenienza, da quando alla fine degli anni Novanta non esplose il problema etico dei cosiddetti “diamanti insanguinati”, frutto di traffici illeciti tra Liberia e Sierra Leone. Nella prima, una violenta guerra civile aveva ridotto in schiavitù migliaia di persone, tra cui bambini, costrette a lavorare presso i letti dei fiumi per trovare gemme da vendere al mercato nero e con cui finanziare la guerriglia degli oppositori.

Da allora, gli standard adottati in questa industria sono stati innalzati e con il cosiddetto Kimberley Process dell’ONU sin dall’inizio del Millennio, oltre il 75% delle aree in cui si estraggono diamanti assicura sulla tracciabilità delle pietre grezze vendute, anche se questo mercato è sempre stato caratterizzato da un florido traffico illegale, che sfugge al rispetto delle regole internazionali. Con la tecnologia “blockchain”, si assesta un colpo anche a questo mercato nero, rendendo molto più difficile raggirare sulla provenienza dei diamanti, esistendo un database globale e disponibile praticamente a tutti gli interessati. Che siamo dinnanzi a una svolta culturale, che fornirà nuova linfa vitale al business delle pietre preziose? (Leggi anche: L’industria dei diamanti ora punta sui giovani e cambia slogan)