Neppure il mercato dei gioielli sfugge alle logiche delle guerre. Da diversi anni siamo abituati a sentire parlare di diamanti “insanguinati” estratti in Africa. Leonardo Di Caprio fu protagonista nel 2006 di un film celebre e straordinariamente bello dal titolo eloquente “Blood Diamond”, che raccontò il traffico di gemme preziose nei luoghi dei conflitti del continente africano per soddisfare la domanda dei paesi più ricchi. Stavolta, però, nel mirino dell’opinione pubblica mondiale vi sono i diamanti russi.

La Russia è il più grande produttore al mondo con la sua compagnia mineraria Alrosa che nel 2021 ha estratto 32,4 milioni di carati, pari a un controvalore di 4 miliardi di dollari e una quota di mercato del 30%.

Lo stato detiene il 33% del capitale, mentre il 34% è flottante libero. Quest’anno, il titolo ha perso il 30% e certamente c’entra la guerra in Ucraina. Gli USA hanno imposto dallo scorso 11 marzo il divieto di importazione di beni di lusso dalla Russia, tra cui vodka, caviale e diamanti. L’Europa finora ha imposto solo l’embargo sulle esportazioni di beni di lusso, non anche sulle importazioni.

Al di là delle mosse dei governi, il mercato si è portato in qualche caso avanti. Brilliant Earth e Signet Jewellers hanno cancellato dai loro rispettivi cataloghi i diamanti di provenienza russa. Un modo per dare risposte a una larga fetta della clientela, che non vuole acquistare prodotti dalla Russia, sia per segnalare la propria solidarietà all’Ucraina invasa, sia per evitare di finanziare la guerra ai suoi danni. In effetti, le estrazioni di diamanti in territorio russo finiscono per alimentare il gettito fiscale di Mosca, attraverso il quale è finanziata l’impresa bellica del Cremlino.

Diamanti insanguinati russi anche in Africa

Ma la realtà è più complicata. I diamanti devono essere puliti e tagliati dopo essere estratti allo stato grezzo. E per queste operazioni più di 9 pietre su 10 passano dall’India, che le rivende al resto del mondo con il proprio marchio.

Non è immediato capire, quindi, se un diamante abbia origine russa o meno. Né le sanzioni americane stanno colpendo anche le pietre russe lavorate altrove. Vero è anche, però, che sul mercato cresce la richiesta dei clienti di conoscere l’origine delle gemme, così da scartare quelle estratte da Alrosa.

Il mercato dei diamanti rischia seri contraccolpi. Se quasi un terzo dell’offerta mondiale fosse scartata dalla clientela, si verificherebbe una certa carenza di preziosi. I prezzi di altri produttori come Botswana, Canada e Sudafrica esploderebbero. Nel mirino, però, vi sarebbero anche le pietre estratte da Alrosa fuori dalla Russia, ovvero proprio in paesi come Zimbabwe, Botswana e Angola. Insomma, l’Africa meridionale si ritroverebbe a pagare il prezzo della guerra in Ucraina.

D’altra parte, così come sta accadendo per petrolio e gas, sul mercato dei diamanti potremmo assistere a un riposizionamento della domanda. Cina, India e paesi non allineati continuerebbero a comprare dalla Russia, l’Occidente si rivolgerebbe altrove. La minore domanda di quest’ultimo sarebbe supplita da una maggiore in Asia. La sola Cina incide per circa il 12% del mercato globale delle gemme preziose, seconda al mondo dietro solo agli USA. Ambigui, invece, gli effetti delle sanzioni sulla domanda degli oligarchi russi: compreranno meno diamanti per i contraccolpi economici patiti o ne compreranno di più per mettere in salvo i propri capitali finanziari, colpiti dai sequestri di Nord America ed Europa?

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