Il viaggio del premier Mario Draghi a Washington ha sì rinsaldato l’alleanza tra Italia e gli Stati Uniti d’America, ma al contempo la posizione del nostro governo è stata di chiedere al presidente Joe Biden un piano per la pace in Europa. Probabile che Super Mario si sia giocato per questo la poltrona di segretario della NATO. Nel frattempo, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, parla di rischio di una “terza guerra mondiale del pane”. Egli ha sostanzialmente evocato la possibilità di una crisi alimentare nel mondo, dove già il numero dei poveri e malnutriti era aumentato con la pandemia.

E dal G7 degli Esteri in Germania, sempre Di Maio nel fine settimana ha richiamato alla necessità di un accordo con la Russia per la pace.

Anche la Francia punta sulla diplomazia, anzi Emmanuel Macron era stato l’unico leader dell’Occidente ad avere tentato la difficile ricerca di un accordo per evitare la guerra a febbraio. L’Eliseo starebbe cercando di fare pressione sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky per arrivare a un accordo di pace che “salvi la faccia a Putin”. I toni in Europa sono cambiati. Dopo avere indossato l’elmetto contro la Russia e a sostegno dell’Ucraina, i leader europei stanno riposizionandosi a favore di un accordo. Non hanno cambiato idea su Vladimir Putin e sulla necessità di aiutare gli ucraini contro l’occupazione russa. Semplicemente, fiutano il rischio di quella “terza guerra mondiale del pane” evocata da Di Maio.

Il cambio di toni dell’Italia

A proposito del nostro ministro degli Esteri, aveva esordito in questa guerra definendo Putin “peggio di un cane”. Ha recitato il ruolo del convinto atlantista, lui che era stato anti-Occidente fino a qualche anno fa e che da capo della Farnesina aveva insignito decine di uomini vicini a Putin di onorificenze fino a poche settimane fa.

I salti della quaglia dei grillini li conosciamo già, ma stavolta sono stati concordati con Palazzo Chigi: basta toni bellicosi, serve la pace. E a dettare la nuova linea è stato proprio Draghi.

La guerra tra Russia e Ucraina rischia di accentuare una crisi alimentare che già si percepiva sullo sfondo della pandemia. Nei silos ucraini sarebbero bloccate almeno 15 milioni di tonnellate di grano. Non possono essere esportate per via dei porti bloccati dalla guerra e delle infrastrutture viarie distrutte. E molti campi vengono distrutti dalle truppe russe. Nel frattempo, l’India ha bloccato le proprie esportazioni di farina. Lo scorso anno erano state pari a 7,85 milioni di tonnellate. E qualche settimana fa, l’Indonesia aveva vietato le esportazioni di olio di palma.

Terza guerra mondiale del pane, le cause

Considerato che la sola Ucraina incide per il 10% della produzione di grano e la Russia per circa il doppio, capiamo che il rischio di una crisi alimentare esiste. Come se non bastasse, Bielorussia e Russia risultano tra i principali esportatori di fertilizzanti. E questi stanno scarseggiando durante la stagione delle semine. I prossimi raccolti rischiano di essere nettamente inferiori alla domanda. Già prima della guerra gli agricoltori americani avevano protestato contro l’amministrazione Biden per le sanzioni imposte contro Minsk, lamentando scarse quantità di fertilizzanti. In più, questi si ottengono grazie all’impiego di gas, il cui costo è letteralmente esploso dallo scorso autunno.

Peraltro, i prezzi dei generi alimentari stanno esplodendo anche per effetto del boom delle materie prime. Le coltivazioni e gli allevamenti sono diventati più costosi, così come i trasporti. Insomma, anche ammesso che non vi fossero carenze di farina, carni e olii vegetali, il problema è che certamente già costano di più, molto di più di pochi mesi fa. E se le famiglie di Europa e USA stanno già stringendo la cinghia, nelle aree più povere del pianeta soffia aria di rivolta.

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