Palermo, la Sicilia, l’Italia intera perdono l’ennesima occasione per attirare capitali e la vicenda di questi giorni nel capoluogo isolano assume tratti a dir poco imbarazzanti, trattandosi di una regione che risulta avere insieme ad altre del Meridione il più basso tasso di occupazione di tutta Europa, oltre che tra i più bassi redditi pro-capite. E’ accaduto che l’amministrazione comunale del sindaco Leoluca Orlando abbia negato a Decathlon l’autorizzazione ad aprire un suo megastore nell’area in cui insisteva prima uno stabilimento di Coca Cola.

Lo Sportello Unico ha ravvisato ragioni di “impossibilità urbanistica”. In poche parole, l’area non sarebbe destinata ad attività industriali o commerciali, bensì artigiane.

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La vicenda si arricchisce dei soliti connotati burocratico-giudiziari all’italiana, poiché la magistratura ha posto da tempo quell’area sotto sequestro, in quanto presunto luogo di compimento di reati. Ma l’aspetto più inaccettabile consiste nel fatto che la risposta negativa sia arrivata dopo la bellezza di due anni e che già un anno fa il colosso dell’abbigliamento francese aveva posto un ultimatum al Comune di Palermo per velocizzare l’iter.

Con il “no” dei burocrati, se ne vanno dalla città 20 milioni di investimenti e 100 posti di lavoro. Tanti ne sarebbero stati creati. Un diniego benedetto dall’amministratore, dato che il sindaco, anziché fare “mea culpa” sulla porta sbattuta in faccia a un investitore, si è detto lusingato del fatto che la sua città fosse stata scelta per l’apertura di un punto vendita, ma chiarendo allo stesso tempo che tutti debbano sottostare alle regole. E ci mancherebbe pure che non fosse così. Semplicemente, anziché perdere due anni per capire se Decathlon avrebbe potuto aprire o meno in quella zona, Orlando aveva dinnanzi a sé almeno un paio di alternative: segnalare all’azienda un’altra area, magari concordandola con i francesi, oppure apportare una variante al Piano Regolatore.

Cultura anti-impresa diffusa al sud

Ma in questi mesi il sindaco è stato occupato a manifestare contro il razzismo – fenomeno per fortuna inesistente a Palermo, come nel resto della Sicilia – ad abbracciare i migranti e ad accoglierli al porto per darsi un tono e una fisionomia anti-leghisti e magari sperare in un prosieguo di carriera politica dopo la fine della fallimentare esperienza come sindaco (dal 1985 ad oggi, lo è stato per 5 volte e per un totale di 20 anni e non sembra proprio che Palermo pulluli di lavoro e investimenti!). L’accaduto è l’ennesima conferma di una politica, in Sicilia come nel resto del Meridione, che parla di sviluppo senza in cuor suo mai volerlo.

Sicilia maglia nera del lavoro in Europa

Il “no” a Decathlon ha un retrogusto vagamente no-global e strizza l’occhio a quella parte di opinione pubblica ed elettorato contrari a qualsivoglia investimento che arrivi da una qualche multinazionale. In queste settimane, il governatore Nello Musumeci è oggetto di insulti, attacchi e recriminazioni sui social per avere raggiunto un accordo con i sindacati sull’apertura dei centri commerciali di domenica. In una terra affamata di lavoro, in tanti vorrebbero prendere a presto il Coronavirus per imporre la chiusura una volta per tutte, lamentando scarsa turnazione e stipendi bassi. Senonché, il problema non sarebbe la domenica in sé, quanto il mancato rispetto delle regole da parte dei titolari dei negozi. A quel punto, l’attenzione dovrebbe spostarsi su questo tema e non sui giorni di apertura.

La verità è che la politica liscia il pelo a questa porzione di opinione pubblica del “no” a tutto, che invoca un reddito, anziché un lavoro, che pretende che una minoranza di cornuti e mazziati tiri la carretta per tutti, paghi le tasse e le consenta di filosofeggiare di diritti ed equità sociale.

La politica, come nel caso di Palermo, non mostra né il coraggio e né la dignità di mettere gli elettori dinnanzi al fatto compiuto, anzi foraggia questi ultimi con prospettive assistenziali insostenibili in un Meridione, dove il lavoro è come un ago nel pagliaio. E vai con la promessa di assunzioni statali con i nuovi maxi-concorsi, con stupidaggini per cui il solo turismo sarebbe capace di sostentare tutti – salvo non adoperarsi nemmeno per crearne le minime condizioni, anzi battendosi per i musei chiusi la domenica e nei giorni di festa – e l’ostentato orgoglio contro ogni idea di investimento che arrivi da fuori, guardato con sospetto e irritazione. Il caso ex Ilva insegna che al sud un’intera classe politica continui a reggersi sulla cultura dei dinieghi e delle chiacchiere.

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