Impietose le cifre odierne dell’Eurostat, che vedono salire al 135,1% del pil il debito pubblico italiano, il secondo maggiore aumento di tutta la UE dopo il Belgio, che ha registrato rispetto al trimestre precedente una crescita del 4,5% contro il +3% messo a segno dal nostro paese. Al contrario, la Grecia ha ridotto nel frattempo l’indebitamento dell’8,3% al 168,8%, pur restando l’economia con  il più alto rapporto debito/pil in tutta Europa. Su base annua, l’Italia ha registrato una crescita di quasi il 4%.

Alla fine del primo trimestre del 2014, infatti, il nostro debito pubblico si attestava al 131,2% del pil. Dall’inizio dell’anno, esso è cresciuto di ben 83 miliardi al 31 maggio scorso, salendo a 2.218,23 miliardi, mostrando una dinamica a dir poco preoccupante. Certo, abbiamo avvertito che tale incremento è in buona parte dovuto alle scorte di liquidità accumulate dal Tesoro e ormai pari a oltre 100 miliardi di euro, le quali saranno parzialmente utilizzate nei prossimi mesi, quando dovrebbe avvertirsi così una riduzione del rapporto tra debito e pil in Italia tra il 132 e il 133%, stando alle previsioni ufficiali del governo e degli organismi indipendenti e internazionali.   APPROFONDISCI – Debito pubblico, nuovo record a maggio. Ma il Tesoro torna ad accumulare liquidità  

Boom debito dal 2007

Resta il fatto che dall’inizio della crisi finanziaria ad oggi, il debito pubblico italiano è salito di 613 miliardi di euro. Esso si attestava ancora a 1.605 miliardi di euro alla fine del 2007, pari al 99,68% del pil. Nel corso degli anni è salito senza freni, sia in valore assoluto, che in rapporto al prodotto interno lordo, ossia alla ricchezza prodotta dagli italiani. Nel corso del 2008, ad esempio, cresceva di 65,86 miliardi, di altri 98,24 miliardi nel 2009, quando il pil crollava del 5,3% in termini reali, di 82 miliardi nel 2010, di 56,4 miliardi nel 2011, di 80,75 miliardi nel 2012, di 80,36 miliardi nel 2013 e di 66,2 miliardi nel 2014. Parte di questo boom è dovuto alla partecipazione dell’Italia ai salvataggi degli altri membri dell’Eurozona, che ad oggi ci sono costati una sessantina di miliardi tra prestiti bilaterali e capitali erogati ai fondi Efsf-ESM.

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Il costo della crisi per l’Italia

Per contro, il pil italiano è rimasto sostanzialmente stabile in valore assoluto. In seguito alla rivalutazione effettuata lo scorso anno, attualmente esso viene calcolato in 1.627,88 miliardi, quando nel 2007 era di 1.610,30 miliardi. In termini nominali, la crescita è stata solo dell’1% in 7 anni e mezzo, ma considerando l’inflazione cumulata in questo periodo si ha che il pil italiano oggi risulta più basso del 9% di quello del 2007. Ci chiediamo, adesso, cosa sarebbe successo al nostro rapporto debito/pil, se l’Italia fosse cresciuta in questi anni alla media di appena l’1% reale all’anno, mentre l’inflazione si fosse attestata quasi al 2%, in linea con il target della BCE? Ebbene, oggi avremmo un pil sopra ai 2.000 miliardi. Escludendo per semplicità di calcoli gli effetti positivi che la pur bassa crescita avrebbe avuto sulle entrate fiscali e, quindi, sui conti pubblici (e sui minori interessi sul debito pregresso), a parità di deficit, avremmo oggi un debito pubblico intorno al 110% del pil, il 25% più basso di quello attuale. Per concludere, la crisi si è mangiata quasi 400 miliardi di euro di pil (rispetto al valore che presumibilmente avrebbe avuto con un minimo di crescita), facendo innalzare il rapporto tra debito e pil di almeno il 25%. Si tenga conto, poi, che senza la crisi non avremmo dovuto sborsare quasi il 4% del pil in aiuti agli altri paesi dell’Eurozona e che, in realtà, non avremmo sforato con ogni probabilità il tetto del deficit negli esercizi 2009, 2010 e 2011. Ne consegue che avremmo risparmiato quasi certamente fino a 140 miliardi, per cui adesso il nostro indebitamento si fermerebbe intorno a 2.080 miliardi, all’incirca al 104% del pil.

La crisi ci è costata, dunque, una trentina di punti percentuali di debito in più.   APPROFONDISCI – Non solo debito pubblico, le famiglie italiane sono le seconde più ricche in Europa