Nel 2019, il debito pubblico italiano è salito a 2.409,2 miliardi di euro, segnando un rialzo di 28,7 miliardi su base annua. Sono i dati che emergono dal Supplemento finanziario al Bollettino statistico mensile della Banca d’Italia. Nei 12 mesi, il fabbisogno finanziario delle Amministrazione pubbliche è stato di 35,2 miliardi, ma è stato parzialmente lenito per 2,2 miliardi dalla riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro, scese a 32,9 miliardi al 31 dicembre scorso. Altri 4,4 miliardi sono stati risparmiati grazie complessivamente all’effetto degli scarti e dei premi di emissione, alla rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e all’andamento del cambio.

In sintesi, il Tesoro ha ridotto le scorte liquide, vuoi per migliorare i conti pubblici, vuoi anche per la loro minore necessità che nei mesi passati, visto che i rendimenti di mercato già nella seconda metà dello scorso anno erano tornati a scendere ai nuovi minimi storici. Le scorte servono proprio per attutire problemi inattesi sui mercati, nel caso in cui dovessero peggiorare le condizioni finanziarie globali o specificatamente domestiche.

E grazie ai rendimenti calanti, i titoli di nuova emissione hanno potuto scontare costi più bassi e, a parità di cedole, prezzi più alti. Questi aggi hanno ridotto in parte le emissioni nell’anno e in parte il fabbisogno finanziario stesso, agevolando il contenimento della crescita dello stock. La bassa inflazione ha fatto il resto: i BTp indicizzati all’andamento dei prezzi hanno chiaramente staccato cedole altrettanto contenute, mentre il cambio non ha agito favorevolmente, se è vero che il dollaro si è rafforzato contro l’euro nei dodici mesi del 2%. E ciò ha innalzato il valore del debito emesso in valuta americana, per quanto dimensionalmente scarso rispetto all’intero stock.

La corsa sfrenata del debito pubblico italiano con queste cifre allarmanti

Debito pubblico sempre meno sostenibile

Infine, il dato sulla quota di debito detenuta dagli investitori stranieri a fine 2019: 31,4%, in crescita dal 28,6% di un anno prima.

Bisogna sottrarre, però, circa il 3%, la quota che risulta in mano alla BCE e conseguenza degli acquisti diretti di BTp condotti dal 2015 con il “quantitative easing”. Al netto, all’estero sarebbe collocato ben meno del 30% del debito negoziabile, una percentuale inferiore di quasi il 25% rispetto all’apice del 52% toccato nel 2010. Un dato che la dice lunga sulla perdita di fiducia verso il nostro mercato sovrano accusata nell’ultimo decennio.

Tirando le somme, quale sarebbe stato il deficit nel 2019? Premesso che le emissioni nette non coincidano esattamente con il deficit calcolato ai fini fiscali, possiamo dire che i quasi 29 miliardi di aumento dello stock siano stati pari all’1,6%. Il rapporto viene fuori stimando una crescita nominale del pil dello 0,8% (0,2% la crescita reale, 0,6% l’inflazione). Siamo ben sotto il 2% fissato come obiettivo dal primo governo Conte, dopo mesi di estenuanti trattative con la Commissione europea. Se, invece, prendessimo per buono il dato dei 35,2 miliardi di fabbisogno finanziario, che effettivamente segnala il disavanzo fiscale da colmare indebitandosi, esso inciderebbe per il 2% del pil, centrando in pieno il target.

Fatto sta che il debito pubblico italiano ha subito un incremento dell’1,2%, superiore allo 0,8% messo a segno dal pil. Questo significa che il rapporto debito/pil nel 2019 sarebbe continuato a crescere e sulla base delle nostre stime, dovrebbe essersi attestato al 136%. E considerato che nemmeno quest’anno dovremmo crescere oltre lo zero virgola e che il deficit dovrebbe superare abbondantemente il 2%, il trend inizia a diventare realmente preoccupante. La UE stima persino per il 2021 una crescita impercettibile per l’Italia dello 0,6%. A meno di una reflazione veloce e drastica, ciò implica la necessità di tagliare il deficit dai livelli attuali, altrimenti rischiamo di avvicinarci alla soglia del 140%, che equivarrebbe psicologicamente ad infrangere un tabù sui mercati.

Tassi a zero a lungo o austerità fiscale: debito pubblico italiano appeso alla BCE

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