Paradossalmente, il 2020 è stato un anno straordinariamente positivo per la Cina. Laddove tutto è iniziato per la pandemia, le cose si sono messe per il verso giusto dopo i primi mesi di affanno sul piano economico. Per la prima volta nella storia, gli investimenti diretti esteri hanno superato quelli americani, crescendo del 4% a 163 miliardi di dollari, contro i 134 miliardi attratti dagli USA (-49%). A Wuhan, il Covid-19 è stato circoscritto in poche settimane con metodi draconiani, i quali avrebbero apparentemente funzionato. Tralasciamo in questa occasione la veridicità dei numeri di Pechino.

Ad ogni modo, mentre l’economia mondiale ripiegava, quella cinese nel 2020 è cresciuta del 2,3%. Per la prima volta, ha superato la soglia dei 100 mila miliardi di yuan, pari a 15.420 miliardi di dollari. E ciliegina sulla torta: a novembre, Donald Trump ha perso le elezioni presidenziali. Il tycoon era stato negli ultimi quattro anni un agguerrito sostenitore dei dazi contro le esportazioni cinesi. Al suo posto, è stato eletto il più morbido Joe Biden. Secondo Nomura, di questo passo l’economia cinese sorpasserà quella americana entro il 2026. Sarebbe un fatto di straordinaria importanza, anche se non significherebbe ciò che siamo portati a pensare di primo acchito.

All’inizio del millennio, quando ancora la Cina non faceva parte dell’Organizzazione per il Commercio Mondiale (WTO), il PIL della Cina valeva il 2,4% di quello mondiale. Lo scorso anno, la sua incidenza era salita al 18,4%. Tuttavia, se guardiamo al dato pro-capite, cioè suddividendo la ricchezza annua prodotta per il numero degli abitanti, i cinesi restano molto indietro rispetto agli occidentali e, in particolare, agli americani: 10.750 dollari contro i circa 53.340 dollari negli USA. In altre parole, sono ricchi mediamente per un quinto degli americani.

Quand’anche tra pochi anni ci fosse il sorpasso, non significherebbe, quindi, che i cinesi sarebbero divenuti più ricchi, semplicemente che il loro PIL combinato avrebbe superato quello americano, ma a fronte di una popolazione attualmente di 4 volte più alta.

Certo, le implicazioni non sarebbero secondarie. Più alto il PIL di un’economia, maggiore la sua influenza sul pianeta, non soltanto sul piano strettamente economico. Ormai, la Cina è diventata un gigante di cui dover tenere conto quando si parla di riassetti geopolitici.

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Detto ciò, non sono e né saranno tutte rose e fiori nel prossimo futuro. Anzitutto, va riducendosi la popolazione in età lavorativa. Dopo due anni di contrazione consecutivi, nel 2019 è risalita a 811 milioni di persone. Ma la politica del figlio unico, perseguita per decenni fino a qualche anno fa, avrà conseguenze sempre più drammatiche nei prossimi anni. Man mano che molti lavoratori usciranno dal mercato per andare in pensione, verranno rimpiazzati solo parzialmente dai giovani, il cui numero risulterà inferiore. La Cina avrà bisogno, quindi, di importare manodopera dall’estero e/o di puntare su una politica demografica di segno opposto a quella adottata nel recente passato, altrimenti la crescita dell’economia tenderà a contrarsi fino a potenzialmente spegnersi.

Peraltro, se rapportiamo il PIL al numero degli occupati, le distanze tra America e Cina si allargano. Ogni lavoratore americano mediamente produce ricchezza per circa 140.000 dollari all’anno, ogni cinese per appena 20.560 dollari, quasi 7 volte in meno. La produttività cinese risulta molto inferiore a quella della superpotenza, cioè a fronte di un maggiore numero di lavoratori e ore lavorate, si produce di meno.

E c’è il fattore cambio. L’ipotesi di Nomura si basa sulla previsione di un apprezzamento dello yuan contro il dollaro a un rapporto di 6, piuttosto credibile, dato che si tratterebbe di un livello di circa il 7% più forte di quello attuale.

Ma Pechino vorrà rafforzare il suo tasso di cambio nei prossimi anni, quando verosimilmente neppure l’amministrazione Biden verrà meno alla politica dei dazi in funzione di difesa della manifattura americana? Quella cinese è un’economia “export-led” e la transizione verso una minore dipendenza dal resto del mondo si è dimostrata più lunga e complessa del previsto. I consumi interni restano insufficienti a mantenere i livelli di produzione e c’è il serio rischio che la pandemia abbia accelerato la presa d’atto dell’Occidente che troppe sue produzioni sensibili siano state delocalizzate in Cina e, soprattutto, che di questo passo il ceto medio volterà le spalle ai governi, ritrovandosi schiacciato dalla concorrenza del Dragone. La Cina potrà diventare la prima economia mondiale entro pochi anni, ma non per questo sarà la più ricca in termini di standard di vita, né è escluso che, tagliato il glorioso traguardo (se non prima), non inizi per essa tutta un’altra storia sul piano delle relazioni con le grandi economie del pianeta.

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