Cosa può esserci di simile tra Danimarca e Stati Uniti? Sono due paesi del mondo occidentale molto benestanti, ma in modo molto diverso tra loro. Entrambi hanno adottato il modello economico capitalista, solo che Copenaghen è considerato un riferimento planetario per uguaglianza e pace sociale. Se in tv è raro che vediate immagini di proteste di piazza o semplici scontri politici danesi, è per il semplice fatto che quasi non esistano. Certo, spesso noi popoli del Mediterraneo tendiamo a mitizzare la Scandinavia, quasi a considerarla un paradiso terrestre.

La realtà è in molti casi diversa. Basti pensare all’esplosione della violenza in Svezia. Tuttavia, la Danimarca figura nell’ultimo Rapporto ONU seconda per Indice di Felicità, dietro solamente alla vicina Finlandia.

Prendiamo queste classifiche con quel pizzico di diffidenza che sempre occorre, ma gli Stati Uniti si trova solo in posizione 19 e l’Italia alla 28-esima. Ci sarà pure del marcio in Danimarca, ma le cose perlopiù sembrano andare bene. Eppure, esiste qualcosa che incredibilmente accomuna i due paesi: il tetto al debito pubblico. E’ clamoroso, perché questo è un tema particolarmente divisivo a Washington, tanto che da settimane sta facendo tremare i mercati finanziari. La superpotenza rischia di andare in default, in quanto la politica non riesce a trovare un accordo per autorizzare il governo a indebitarsi sopra la soglia massima già autorizzata di 31.400 miliardi di dollari.

Certo, la Danimarca è un paese di appena 6 milioni di abitanti, ha un’economia ricchissima, ma di dimensioni necessariamente ridotte. Ammesso che abbia le stesse tensioni, non impensierirebbero probabilmente più di tanto gli investitori internazionali. Ad ogni modo, ne avete mai sentito parlare? La risposta non può che essere negativa. A Copenaghen non sono mai esistiti scontro su questo tema. Vediamo le differenze e cerchiamo di capire come funziona qui.

Tetto al debito a Copenaghen

Nel 1993 la Costituzione in Danimarca fu modificata per inserire il tetto al debito pubblico, fissato a 950 miliardi di corone.

Era un livello altissimo per quel periodo, praticamente irraggiungibile per un paese abituato a gestire le finanze statali con estrema parsimonia. Poi, arrivò la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09. I politici danesi temettero che, a seguito dei disastri bancari globali e della caduta dell’economia, quel tetto potesse essere prima o poi raggiunto. Decisero di comune accordo di più che raddoppiarlo a 2.000 miliardi di corone, circa 268,5 miliardi di euro. Stando ai dati dello scorso anno, corrisponderebbe a poco più del 70% del PIL.

Ora, in quasi qualsiasi altro tale tetto al debito risulterebbe molto basso. Pensate che i politici americani stanno azzuffandosi per aumentare il loro oltre 31.400 miliardi di dollari, che già corrispondono a quasi il 130% del PIL. Non in Danimarca. Qui, il debito pubblico del governo centrale ha chiuso nel 2022 a 323 miliardi di corone, cioè al 12% del PIL, nonché circa sei volte e mezzo sotto i massimi consentiti. L’intero debito pubblico vale appena il 30%. Dovete pensare che Copenaghen riuscì a chiudere i bilanci in attivo persino nell’anno della pandemia. Altrove, i deficit volarono anche a due cifre.

Danimarca formica, Stati Uniti cicala

Non lo considerate anche voi un paradosso? In Danimarca hanno un tetto al debito così alto che potrebbero fare spandi e spendi. Invece, regolarmente chiudono i bilanci in attivo, cioè spendono meno di quanto incassano con le entrate fiscali. Negli Stati Uniti il tetto è fissato basso rispetto ai livelli di debito già emesso, eppure continuano a fare le cicale. Ecco la ragione principale per la quale a Copenaghen maggioranza e opposizioni non litigano mai su questo tema. Semplicemente, si tratta di un tetto teorico. L’attenzione si concentra tutta sulla gestione efficiente e prudente delle finanze statali. E, ça va sans dire, il debito danese ha rating tripla A.

Certo, esistono altre ragioni che spiegano questo clima di calma nazionale. I nordici sono noti per il loro carattere flemmatico, non inclini a mettere in scena teatrini scomposti. E aggiungiamo che qui non esistono due grandi partiti, bensì una dozzina presenti in Parlamento. I governi si reggono su coalizioni vaste, per cui gli scontri frontali quasi non esistono. Diciamo che in Danimarca la pluralità dei partiti consente di ammortizzare gli attriti sui temi più spinosi. Ciascun paese ha la sua storia e i modelli stranieri difficilmente si possono imitare. Certo è che a Washington dovrebbero prestare più attenzione a come risolvono il loro identico problema i colleghi danesi.

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