La lira turca ha perso un terzo del suo valore quest’anno e la cattiva notizia per Ankara è che il tasso di cambio contro il dollaro non avrebbe alcun limite inferiore a cui tendere. La banca centrale ha tagliato i tassi per tre volte in due mesi, mentre l’inflazione continua a salire, attestandosi a poco meno del 20% a ottobre. Ed ecco che un numero crescente di famiglie turche starebbe mostrando attenzione ai Bitcoin e, più in generale, al mercato delle crypto.

Già tra febbraio e marzo, quando il crollo della lira turca era circa un terzo di quello attuale da inizio anno, Chainanalysis stimò in 26 miliardi di dollari le transazioni relative alle crypto in Turchia. Nello stesso periodo dell’anno precedente, erano state di appena 7 miliardi. Alla fine di ottobre, nel giro di 24 ore si arrivò a transazioni per 1,7 miliardi. Insomma, molti turchi si sarebbero messi a caccia di Bitcoin, Ethereum, etc., per sfuggire all’inflazione e mettere in salvo i risparmi.

E questo sta accadendo nonostante il governo turco abbia vietato nell’aprile corso di utilizzare le crypto per effettuare pagamenti. E alle società è stato fatto divieto di offrire servizi relativi a questi asset. Tuttavia, detenere crypto in portafoglio resta consentito. E i turchi hanno evidentemente notato che i Bitcoin quest’anno guadagnino circa il 100%, a cui si aggiunge un 33-34% di rivalutazione determinata dall’effetto cambio.

Caccia ai Bitcoin nelle economie in crisi

La Turchia è il caso esemplare di economia con un mercato delle crypto potenzialmente in forte crescita a causa delle criticità finanziarie patite. Tra crollo del cambio e inflazione alle stelle, tenere i risparmi in valuta locale significa perdere denaro piuttosto velocemente. Meglio rivolgersi ad asset denominati in altre valute, ancora di più se ad alto potenziale di crescita per sfuggire alla perdita del potere d’acquisto e magari essere in grado anche di uscire dalla crisi più forti di prima e degli altri.

In questi anni, abbiamo visto lo stesso film in paesi emergenti come Argentina, Venezuela, Zimbabwe e persino Cuba. In un primo momento, la caccia ai Bitcoin ha spinto i rispettivi governi a reprimere il mercato delle crypto anche con misure forti, come gli arresti in Venezuela. Preso atto dei benefici, in una fase successiva si è provveduto non solo a riconoscere, bensì pure ad avallare l’uso delle crypto per reagire alla crisi. Sarà così anche in Turchia? Non possiamo escluderlo, specie perché il presidente Erdogan punta a non indispettire le famiglie in vista delle elezioni presidenziali del 2023.

L’opinione di Crypto Smart

Abbiamo chiesto ai fondatori e soci di Crypto Smart (www.cryptosmart.it) se Bitcoin e altre “criptovalute” non possano per caso diventare asset di riferimento per economie come la Turchia alle prese con problemi di stabilità del cambio e dei prezzi. Questo il commento di Alessandro Frizzoni:

Bitcoin è oro digitale, come l’oro è scarso per natura, il numero massimo di Bitcoin che saranno mai emessi è di 21 milioni, come l’oro non puo’ essere contraffatto perché per creare un Bitcoin è necessario l’equivalente dell’energia elettrica della Danimarca per 10 minuti. Il Bitcoin pero’ è una tecnologia monetaria più moderna e perfezionata, perché al contrario dell’oro può essere facilmente inviato attraverso internet in pochi minuti in qualunque capo del mondo. Bitcoin è la moneta nativa di Internet, è money over IP. Bitcoin è la più moderna difesa per mantenere il potere d’acquisto dei propri risparmi, nel lungo periodo, contro la svalutazione monetaria che affligge in maniera drammatica i paesi che hanno una moneta di bandiera debole.