Dopo 7 mesi di estenuanti trattative, il nuovo governo in Libano non s’ha da fare. Il premier incaricato Saad Hariri ha rotti con il presidente Michel Aoun sul mancato accordo circa la natura dei ministri da nominare: ne avrebbe voluti 18 “tecnici” il primo, più di 20 politici il secondo. Non sono bastati 17 incontri tra i due e un negoziato asfissiante con i partiti in rappresentanza di sunniti, sciiti e minoranza cristiana. Mentre il Titanic affonda, l’orchestra continua a litigare sullo spartito da suonare come se nulla fosse.

Il Libano versa in condizioni economiche e finanziarie drammaticissime. Il tasso di cambio contro il dollaro è sprofondato del 90% rispetto a quello ufficiale di 1.500. Adesso, per comprare un dollaro sul mercato nero servono 13.800 lire locali, ma nei giorni scorsi si è arrivati a 15.000. I prezzi dei beni, anche di prima necessità, stanno esplodendo di giorno in giorno. A dicembre, l’inflazione volava sopra il 145%, ma tra i generi alimentari si attestava al 400%.

Intervistati dalla stampa estera, i negozianti si dicono sconvolti dello schianto della lira, che sta avendo ripercussioni enormi sui prezzi. I listini, spiegano, prima di questa ultima fase di crisi venivano aggiornati ogni giorno, mentre ora le catene chiamano fino a tre volte al giorno per comunicare i nuovi prezzi. Si è arrivati a un punto, spiega un commerciante, che appena aveva finito di aggiornare con il pennarello il prezzo di vendita è stato necessario cancellarlo per scrivere quello nuovo appena inviatogli dalle aziende produttrici.

In Libano tensione alle stelle per il crollo del cambio

 

Politica volutamente irresponsabile

La miseria dilaga nel paese dei cedri. Molti clienti entrano in un supermercato e arrivati alla cassa si rendono conto di non possedere tutto il contante necessario per pagare. Del resto, i salari sono stati letteralmente decimati dal crollo della lira. Chi prima guadagnava 1 milione al mese, al vecchio cambio portava a casa 665 dollari, oggi poco più di 72.

Il peggio dovrebbe arrivare con l’annunciato taglio dei sussidi da parte del governo, il quale a sua volta non ha più la possibilità di sostenere la popolazione, disponendo di scarsissime riserve valutarie. Da qui a breve, la scure si abbatterà sul carburante.

Il Parlamento di Beirut ha approvato la richiesta di un prestito di 246 milioni di dollari alla Banca Mondiale. Acqua fresca da destinare alle famiglie più povere. In effetti, il tasso di povertà assoluta è triplicato al 23%, mentre circa la metà dei libanesi ormai vivrebbe sotto la soglia di povertà relativa. La situazione drammatica non sta risparmiando più alcuna categoria. Il ministro dell’Interno, Mohammed Fahmi, ha affermato che fino a poche settimane fa le condizioni dei militari e degli agenti di polizia fossero vicine al collasso, mentre adesso sarebbero collassate. Il timore è che tutto ciò provochi l’aumento incontrollato della criminalità e dei saccheggi.

Nelle scorse settimane, l’esercito ci è andato molto leggero nel cercare di sedare le rivolte di migliaia di manifestanti contro il carovita. Il segno che tutti siano consapevoli quanto poco basti per accendere la miccia di una rivolta. Ma il “palazzo” della politica continua a ignorare la realtà e forse ritiene opportuno lavarsene le mani della crisi, sperando che si risolva da sola nell’assenza di un governo con pieni poteri e che possa essere accusato di responsabilità per la situazione in corso. E’ una precisa strategia quella congegnata dalle fazioni religiose e clientelari del Libano: litigare per non governare. Un monumento all’irresponsabilità, che a Bruxelles qualcuno inizia ad accorgersi che andrebbe sanzionata.

Ci sarà molta più miseria in Libano e l’inflazione viaggia già sopra il 300%

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