Le azioni Netflix sono precipitate in borsa questo mercoledì, sprofondando in una sola seduta di oltre il 35% e scendendo a una capitalizzazione complessiva di 100 miliardi di dollari. A questi prezzi, perdono i due terzi rispetto all’apice toccato nell’ottobre scorso a più di 690 dollari per azione. Il colosso dello streaming ha accusato il colpo dopo avere pubblicato i dati relativi alla prima trimestrale dell’anno, dalla quale è emerso un calo di 200.000 abbonati rispetto all’ultimo trimestre del 2021. La società puntava ad aumentarli di 2,5 milioni, mentre paventa un ulteriore calo di 2 milioni di abbonati per il trimestre in corso.

In conseguenza dei dati negativi, il fondo Pershing Square di Bill Ackman ha liquidato ieri l’intera partecipazione in Netflix da 1,1 miliardi di dollari, comunicando di avere riportando perdite per 430 milioni a seguito del crollo azionario.

Ad avere influito negativamente è stato il dato della Russia, paese da cui Netflix è uscito a seguito della guerra in Ucraina e dove vi erano 700.000 abbonati. Ma anche nelle due Americhe si è registrato un calo di 1 milione di abbonati. Pertanto, i nuovi sottoscrittori non sono riusciti più a compensare le cancellazioni. La società mette nel mirino anche la condivisione delle password da parte degli abbonati con amici e parenti. In teoria, è possibile guardare i contenuti in streaming da più dispositivi all’interno dello stesso nucleo familiare. In realtà, si stima che circa 100 milioni su 221,6 milioni di iscritti condividano la password con terzi.

Per rimediare a questi dati negativi, Netflix vorrebbe contrastare le condivisioni o renderle possibili in maniera limitata attraverso un abbonamento specifico. Ma starebbe prendendo in considerazione anche un’ipotesi finora esclusa: un abbonamento apposito per visualizzare i contenuti in streaming con un po’ di pubblicità. In pratica, se gli utenti fanno i furbi, li si obbliga a guardare gli spot. In questo modo, le perdite sarebbero compensate dai maggiori introiti.

Boom azioni Netflix con il Covid

Durante la pandemia, le azioni Netflix erano state tra le principali beneficiarie. Costretti a casa, centinaia di milioni di persone avevano trascorso il tempo guardando la TV e abbonandosi al colosso per seguire diverse serie. L’allentamento delle restrizioni ha evidentemente invertito il trend. Tuttavia, il caso non è isolato. Agli inizi di febbraio, nel mirino del mercato erano finite le azioni Meta (ex Facebook) dopo i dati deludenti dell’ultimo trimestre del 2021. In una sola seduta, arrivarono a perdere il 23%, mandando in fumo 200 miliardi di dollari. Era accaduto che gli utenti attivi giornalieri erano risultati in calo per la prima volta nella storia del social da 1,930 a 1,929 miliardi.

Sembra che i principali giganti del web abbiano raggiunto il picco. La concorrenza inizia a frenarne la crescita. Social come TikTok stanno portando via utenti a Meta tra i giovanissimi, mentre negli USA servizi on demand come Hulu offrono cataloghi ricchi a prezzi contenuti. Tuttavia, dietro a queste cifre potrebbe celarsi qualcos’altro di più strutturale. L’economia occidentale sta rallentando dopo il rimbalzo seguito alla fase acuta della pandemia. Con la guerra i prezzi delle materie prime sono esplose e i consumatori devono spendere di più per pagare le bollette. Non è che abbiano iniziato a tagliare le spese “superflue” per far quadrare i bilanci? Se così, le azioni Netflix sconterebbero uno scenario più pesante di quanto crediamo.

Pesa anche il rialzo dei tassi

E Facebook? In fondo, crisi o non crisi sui social ci si va lo stesso, essendo “gratis”. A parte quanto accennato sopra, c’è anche un problema di monetizzazione degli utenti, che deriva dagli investimenti pubblicitari. Con le impostazioni sulla privacy più rigorose a tutela degli iscritti, la società sta avendo maggiori difficoltà a raggiungere questi ultimi con messaggi personalizzati.

Infatti, l’audience massimo potenziale nel primo trimestre è sceso a 2,109 miliardi da 2,276 miliardi di persone.

Infine, c’è il rialzo dei tassi. Dopo lunghissimi anni di denaro a basso costo, a causa dell’alta inflazione le principali banche centrali stanno cambiando impostazione di politica monetaria. Senonché i tassi a zero o negativi avevano foraggiato gli acquisti di azioni in borsa, specialmente di quelle dei giganti del web. Probabile che adesso stiano pagando più di altre per l’aumento del costo del denaro. Se così fosse, saremmo solo agli inizi di un calo ben più marcato e superiore alla media del mercato. D’altra parte, sarà la concorrenza a creare i maggiori problemi nel lungo periodo. Finora avevamo dato per assodato l’assenza di alternative dirette a social come Facebook, così come ad oggi non ne vediamo all’orizzonte per Amazon. Ma il mercato s’ingegna e non resta mai uguale a sé stesso.

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