Sono passati pochi giorni dall’introduzione del “bolivar soberano” e di novità nel Venezuela non se ne hanno, se non negative. Il governo ha emesso le nuove banconote con 5 zeri in meno, per cui i nuovi prezzi dovranno essere aggiornati attraverso una divisione per 100.000. Se fino a domenica sera un dollaro veniva scambiato sul mercato ufficiale intorno a 250.000 bolivares, da lunedì è stata anche adottata una maxi-svalutazione del cambio del 96%, al fine di tendere a quello reale, come espresso dal mercato nero, dove per un dollaro di bolivares ne servivano 6 milioni.

Con la nuova parità, il cambio è stato portato a 60 bolivares contro un dollaro e a sua volta agganciato a Petro, la “criptovaluta” basata sul petrolio e attualmente valutata sui 60 dollari l’una. In sostanza, per un Petro si hanno 3.600 bolivares. Nel frattempo, il salario minimo legale è stato aumentato di un sobrio 3.000%.

Inutile dire che la confusione per le strade e i negozi nel Venezuela è massima. Lunedì, il presidente Nicolas Maduro ha proclamato una giornata festiva, al fine di consentire ai commercianti di capire come aggiornare i prezzi. In realtà, molti negozi sono rimasti chiusi anche il giorno seguente. Nessuno riesce a comprendere bene il passaggio dai vecchi ai nuovi prezzi, nonostante lo stato abbia provveduto a distribuire le cosiddette “calcolatrici sovrane” e un’app aiuti i venezuelani a farsi i conti rapidamente.

Il Venezuela svaluta il bolivar del 95%, Maduro rischia il golpe vero

Tanta confusione e zero risultati

Il problema è che tanta confusione non starebbe sortendo nemmeno gli effetti positivi auspicati dal governo. Il Prof Steve Hanke della Johns Hopkins University, il quale segue questa crisi sin dall’inizio, ha stimato l’inflazione annua al 61.500% giovedì e già al 65.500% ieri. In sostanza, i prezzi non si starebbero stabilizzando e nemmeno il cambio sembra avere trovato un “floor” dopo essere stato falcidiato dalla svalutazione, tanto che al mercato nero un dollaro continua a mostrarsi più forte del tasso ufficiale, scambiando ieri a oltre 75, il 20% in più.

E le cronache riportano persino un +40% a 100 bolivares. In sostanza, sono stati eliminati gli zeri, ma le cause dell’iperinflazione sono rimaste intatte, così come i problemi.

E i venezuelani continuano a fuggire in cerca di un modo per sopravvivere alla crisi. Si stimano 2,2 milioni di espatri dal 2014, anno in cui hanno iniziato ad abbozzarsi i segnali della crisi. Una enormità per una popolazione di circa 31 milioni di abitanti. E per frenare i flussi, tutti gli stati confinanti con il Venezuela stanno chiudendo le loro frontiere, dal Perù alla Colombia, dal Cile al Brasile, passando per l’Ecuador. La situazione è così disperata, che si teme l’esplosione di tensioni in tutta l’America Latina. A caccia di dollari, si racconta di donne disposte a prostituirsi, specie al confine con la Colombia. Nessuna risposta concreta alla crisi da parte delle istituzioni di Caracas, che all’indomani dell’introduzione delle nuove banconote hanno sfoggiato un’altra ondata repressiva ai danni dei commercianti, rei di aumentare i prezzi senza alcuna ragione. Una barzelletta che non fa ridere in un paese, dove l’inflazione per fine anno è attesa dal Fondo Monetario Internazionale al milione percento.

Crisi Venezuela, la speranza resta nei dollari 

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