La grande chiamata alle armi di Juan Guaido ai militari contro il regime di Nicolas Maduro non ha riscosso il successo che si pensava nelle prime ore di martedì. L’esercito resta schierato con il suo dittatore e parte della stessa popolazione nel Venezuela continua a sostenerlo. Eppure, con un’inflazione stimata nel marzo scorso a 1,6 milioni per cento e una mancanza praticamente totale sul mercato di beni, compresi quelli alimentari, ci si aspetterebbe che il collasso dell’economia portasse automaticamente alla caduta di una dittatura tanto brutale, quanto incompetente.

Non è stato così e continua a non esserlo. Ma quello attorno a Maduro non è vero consenso, se non tra i pochi fedelissimi più ideologizzati, quanto il frutto di un puro matrimonio di convenienza da un lato e di necessità dall’altro.

Bond Venezuela, liquidità azzerata dalle nuove sanzioni USA e trading quasi impossibile

I militari sono stati negli ultimi 20 anni la vera élite su cui il “chavismo” ha puntato tutte le sue carte, specie dopo la morte di Hugo Chavez nel 2013, per consolidare il potere e renderlo inattaccabile da qualsiasi ingerenza esterna, nonché dal malcontento interno. A loro è stato consentito – e tutt’ora funziona così – l’accesso ai dollari a tassi di cambio notevolmente più convenienti di quelli altrimenti proibitivi vigenti sul mercato o, in misura minore, anche alle aste periodiche della banca centrale. Grazie a questo meccanismo, ancora oggi i funzionari vicini al regime e, soprattutto, i militari hanno la possibilità di acquistare dollari a un prezzo di oltre 2.000 volte più basso di quello che ottengono rivendendoli un istante dopo sul mercato domestico, maturando guadagni enormi, immediati e praticamente senza fare nulla.

Militari al centro di tutto il “chavismo”

E il confuso sistema dei cambi viene mantenuto appositamente, nonostante sia tra le principali cause dell’iperinflazione e della fame dilagante nel Venezuela.

Oltre tutto, l’unica risorsa di fatto esportata è il petrolio e, guarda caso, anche la sua gestione è stata di recente affidata ai militari, con il generale Manuel Quevedo ad essere stato nominato a capo della PDVSA, la compagnia petrolifera statale, sebbene non abbia né conoscenze e né esperienza per il delicato ruolo che ricopre. Risultato? Le estrazioni a marzo sono collassate ai minimi da oltre 30 anni, scendendo sotto gli 1 milioni di barili al giorno, aggravando la crisi economica e umanitaria del paese andino.

E i militari gestiscono anche la cruciale spartizione delle “canastas alimentaria”. Trattasi di 6 milioni di sacchetti alimentari suddivisi alla popolazione, i quali certamente si mostrano del tutto insufficienti a contrastare la fame, ma che per i beneficiari rappresentano pur sempre qualcosa da mettere a tavola per alcuni giorni nel corso del mese. Questa strategia del regime tiene stretta a sé quella parte della popolazione più sofferente, che teme di perdere anche questo minimo sostegno, spesso prezioso per la sopravvivenza, nel caso in cui Maduro fosse deposto. Che egli sia, in realtà, la causa dei loro patimenti e dell’assenza cronica di beni sugli scaffali dei supermercati, poco importa.

Come la crisi del Venezuela travolgerebbe l’OPEC

E il dramma del Venezuela sta tutto qua: non s’intravedono quelle prospettive minime per poter anche solo sperare in un sollievo futuro dal disastro economico in cui il paese è sprofondato negli ultimi due anni, in particolare. Anzi, con il crollo della produzione petrolifera, reso ancora più severo dalle sanzioni USA, il rischio di una tragedia umanitaria senza precedenti in era moderna si fa ogni giorno più concreto; e con esso la paura degli stati confinanti, tra cui Colombia e Brasile, di dover essere chiamati a gestire la spaventosa fuga di milioni di venezuelani verso i loro confini.

[email protected]