Le azioni di Deutsche Bank hanno perso quasi la metà del loro valore quest’anno, tempestate da una crisi in borsa sui timori di possibili contraccolpi accusabili dalla montagna di contratti derivati, pari a quasi 42.000 miliardi di euro al termine del secondo trimestre di quest’anno, stabile rispetto al dicembre dello scorso anno. Ma il Chief Risk Officer della banca tedesca, Stuart Lewis, in un’intervista rilasciata ieri al quotidiano Welt am Sonntag, ha cercato di ripristinare un minimo di raziocinio sul caso, spiegando come i rischi assunti dall’istituto siano molto “sopravvalutati” di quelli reali.

Lewis sostiene, infatti, che a fronte di circa 42.000 miliardi di contratti derivati, Deutsche Bank sia esposto a un rischio effettivo di “soli” 41 miliardi di euro. Prendendo per buono quanto ci dice il responsabile proprio dei rischi della prima banca tedesca (e non possiamo che fidarci dei suoi numeri), le esposizioni reali sarebbero circa mille volte in meno di quelle sbandierate dalla stampa internazionale. Come mai? (Leggi anche: Crisi Deutsche Bank esplosiva per Eurozona)

Derivati Deutsche Bank, cosa sono

Per prima cosa, partiamo dal concetto di contratto derivato. Si definisce così, quando il suo valore deriva dal prezzo di un indice o tasso sottostante. Ora, i famosi 42.000 miliardi di contratti derivati in possesso di Deutsche Bank, pari a 14 volte il pil della Germania, sono il controvalore nozionale di questi contratti, ma non è affatto detto che la banca lo copra per intero, in termini di esposizioni. E, infatti, proprio questo scopriamo dalle parole di Lewis, ovvero che la copertura sarebbe a circa un millesimo del valore nozionale.

Il 78% dei contratti derivati di Deutsche Bank sarebbe legato alla copertura dal rischio di variazione dei tassi d’interesse. A dire il vero, forse dovrebbe preoccupare più questo aspetto che non la quantità, cioè che Deutsche Bank abbia esposizioni in contratti derivati concentrate per oltre i tre quarti su una sola variabile.

Detto questo, la stessa banca ha iniziato da tempo a ridurre i rischi, in linea con le pratiche delle maggiori banche internazionali. Si consideri, ad esempio, che il picco sui derivati fu raggiunto nel 2011 con 59.195 miliardi di euro in esposizioni sul nozionale. (Leggi anche: Allarme Deutsche Bank, Soros scatena la tempesta)

 

 

 

Derivati Deutsche Bank, liquidità sufficiente per copertura rischi?

Ora, ci chiediamo: se le esposizioni effettive di Deutsche Bank sono di 41 miliardi, quali rischi reali corre? Vi abbiamo scritto in un altro articolo, che la liquidità disponibile della banca tedesca è pari a 223 miliardi, pari al 124% del minimo regolamentare imposto. In teoria, quindi, vi sarebbe una copertura più che abbondante delle eventuali perdite subite sul versante dei derivati.

Tutto a posto, dunque? Beh, le cifre vanno anche meglio interpretate e le tensioni sui mercati finanziari di questi mesi non sono solo frutto dell’irrazionalità, bensì pure di una certa opacità mostrata da Deutsche Bank nel redigere i suoi bilanci. Ad esempio, la valutazione degli assets rientranti nella categoria “Level 3”, quelli tipicamente “illiquidi”, è effettuata al 72% degli assets della categoria Tier 1, quando le principali banche internazionali adottano una stima media del 38%.

Banche USA più esposte a derivati di Deutsche Bank

Il mercato si affida a valutazioni interne per questi assets, essendo molto difficile stabilirne il valore. E dei 28,9 miliardi di Level 3 registrati al termine del secondo trimestre (in netto calo dagli 88 miliardi del 2007), 10,2 miliardi fanno riferimento proprio a derivati poco liquidi.

Se questi sono i numeri, però, davvero sembra una tempesta in un bicchier d’acqua, nel senso che non appaiono realmente preoccupanti, almeno non nel confronto internazionale. Le prime 5 banche USA, tanto per avere un confronto, hanno esposizioni per il 96% del totale dei 250.000 miliardi di valore in contratti derivati stipulati in dollari, di cui JP Morgan spicca con oltre 78.000 miliardi, seguita da City con 56.000 miliardi, Bank of America con 53.000 e Goldman Sachs con 48.000.

 E le banche americane sono complessivamente esposte verso le controparti tedesche sui derivati per 321.500 miliardi di dollari. (Leggi anche: Banche USA, con elezioni ritorno al passato)

 

 

 

Vero problema è scarsa redditività

Se Deutsche Bank viene valutata troppo esposta ai derivati, perché mai l’attenzione non si concentra anche sulle banche made in USA? Non è che il Dipartimento di Giustizia di Washington, chiedendo una maxi-multa da 14 miliardi sul caso dei mutui subprime, stia minacciando di segare l’albero, sopra il quale sono seduti diversi istituti americani e rischi di infliggere all’economia USA una pena molto più temibile di quanto si pensi? (Leggi anche: Multa USA è ricatto contro UE)

In ogni caso, lo scorso anno Citi ha acquistato da Deutsche Bank contratti derivati per 250 miliardi di dollari e sarebbe intenzionata a continuarlo a fare. Se questi contratti fossero rischiosi, perché mai sul mercato si trovano acquirenti?

Il problema della banca tedesca potrebbe, quindi, non essere affatto dei derivati, bensì quello più banale della redditività. Se rispetto al picco del 2008, si calcola che le banche dell’Eurozona oggi maturino profitti per il 75% più bassi, il saldo atteso per Deutsche Bank è persino peggiore: -85%. I derivati sono forse solo un’arma di distrazione di massa, utilizzata da una campagna di stampa di facile leva sulle paure degli investitori e della gente comune verso strumenti ignoti o scarsamente comprensibile. La realtà potrebbe essere molto meno oscura: Deutsche Bank non fa utili, perché come qualsiasi altra banca europea opera in un clima economico depresso e sullo sfondo di tassi di mercato ai minimi di sempre, lasciando ai creditori margini risibili. Il resto sono per lo più chiacchiere da bar, ad uso e consumo dei frequentatori di bar.