La BCE ha ottenuto ieri il via libera definitivo della Corte Costituzionale tedesca al suo “quantitative easing”, ma a Francoforte c’è scarsa voglia di festeggiare. Oggi, il numero due dell’istituto, lo spagnolo Luis de Guindos, ha avvertito sul fatto che l’Eurozona rischi una nuova crisi del debito e che questa sia asimmetrica e concentrata in alcune aree dell’unione monetaria. Pur non facendo riferimento esplicito al Sud Europa, è evidente il riferimento ad esso.

Infatti, il vice-governatore ha spiegato che se da un lato l’Eurozona stia emergendo dalla crisi provocata dalla pandemia, dall’altro alcuni settori hanno subito e continuano a subire i maggiori contraccolpi.

Essi sono quelli legati al turismo e all’accoglienza. E da qui, la considerazione che alcune economie nazionali soffriranno più di altre. Ed è il Sud Europa la parte del continente in cui si registra la maggiore incidenza dei settori sopra citati. Grecia e Portogallo devono al turismo quasi un quinto del rispettivo PIL. Seguono su percentuali minori Spagna e Italia.

Da qui, la considerazione che si dovrebbe puntare per il futuro su stimoli monetari più mirati e non più generici. Un modo per contrastare sul nascere quella crisi del debito, che riguarderebbe alcuni settori particolarmente. Il rischio previsto è che i tassi d’insolvenza cresceranno in certi stati più che in altri. E se ad oggi le banche nell’Eurozona hanno sostanzialmente retto alla pandemia, probabile che con un certo ritardo inizieranno ad accusare un deterioramento delle loro attività. Lo spagnolo è esplicito, quando dichiara che probabilmente avranno bisogno di accantonare maggiore capitale per fronteggiare le future perdite attese.

Crisi del debito e limiti della BCE

Ed ecco la prospettiva allarmante paventata dalla BCE: il rialzo dei rendimenti negli USA contagerebbe già l’Eurozona, aumentando le criticità finanziarie a carico delle imprese. E le banche non è detto che potranno contenere tali aumenti dei tassi con una maggiore offerta di credito.

A loro volta dovranno dedicare maggiori risorse a coprire l’aumento delle sofferenze. Un circolo vizioso, che dopo la crisi finanziaria del 2008-’09 ha impattato negativamente sulla ripresa del Sud Europa. Stavolta, per la BCE rischia di essere peggio.

Rispetto ad allora, tuttavia, l’istituto non ostenta alcuna volontà di correre ad alzare i tassi d’interesse. Anzi, il governatore Christine Lagarde ha chiarito più volte che le condizioni monetarie nell’area saranno mantenute necessariamente espansive. Al contempo, al board di marzo ha smentito che Francoforte stia perseguendo un controllo dei rendimenti lungo la curva delle scadenze. Ma c’è un punto che continua a destare allarme: con un’inflazione in netto rialzo, la parola potrà essere mantenuta? La BCE avrà la forza politica di reagire alle pressioni esterne (governi del Nord Europa) ed interne (“falchi” del Nord Europa nel board) per non ridurre il grado di accomodamento monetario con l’aumento dei prezzi finanche sopra il target?

Il timore per una nuova crisi del debito, potenzialmente ben più devastante del 2010-’11, non fa che accrescere la diffidenza di chi, Bundesbank in testa, fiuta da tempo il rischio che l’apparato degli stimoli sia tenuto in vita non già tanto per tendere al target d’inflazione, bensì per sostenere i debiti sovrani del Sud Europa. Adesso, si aggiunge la necessità di dare una mano anche ai debiti corporate. Ma ciò è espressamente vietato dalle regole contenute nei Trattati e, anzi, rende i tassi negativi e gli acquisti di bond ancora più inaccettabili agli occhi dei cittadini/elettori del Nord Europa. Non è più possibile pensare che la BCE dopo la pandemia continui a soccorrere i pezzi dell’Eurozona in crisi, a meno di ipotizzare un cambio di fisionomia e di mandato.

Ma avverrebbe solo con una improbabile “rivoluzione” politica e del pensiero nelle capitali nordiche, Berlino in testa.

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