L’Italia crescerà quest’anno dello 0,7%, in assenza di variazioni congiunturali nel secondo semestre. Sarebbe un rallentamento rispetto al già fragile +0,8% segnato nel 2015 e, soprattutto, confermerebbe l’incapacità della nostra economia di riprendere slancio, restando in calo il nostro pil di quasi il 9% rispetto ai livelli pre-crisi.

La brutta notizia è che la fine della ripresa potrebbe avvenire in un contesto macro fin troppo favorevole alla crescita economica. Tre sono ad oggi i fattori positivi per l’Eurozona: bassi tassi, basse prezzi delle materie prime e cambio debole.

Nel tentativo di rianimare i prezzi nell’Eurozona dalla deflazione strisciante di questi anni, la BCE ha azzerato i tassi di riferimento e tagliato sotto lo zero quelli applicati ai depositi overnight delle banche. Lungi dall’aver fatto tendere l’inflazione dell’area verso il target di quasi il 2%, i tassi zero e persino negativi adottati da Francoforte si sono tradotti in un crollo dei rendimenti dei titoli di stato negoziati sul mercato secondario ed emessi dai governi.

I BTp rendevano mediamente il 4,5% nel 2007, ultimo anno prima della crisi, mentre il loro rendimento medio ponderato quest’anno è sceso in zona 0,8-0,9%. Un bell’affare per il Tesoro, costretto a fare i conti ogni anno con la complessa gestione di un debito pubblico, salito alla bellezza di quasi 2.250 miliardi. I bassi rendimenti contengono il costo di rifinanziamento del nostro debito e allentano, quindi, la pressione sul bilancio statale, liberando risorse.

Economia italiana si avvantaggia di basso costo materie prime

L’inflazione infima di questa fase è riconducibile al crollo delle quotazioni delle materie prime, in primis, del petrolio. Quest’ultima veniva venduto sui mercati a 110-115 dollari al barile nel giugno di due anni fa, mentre oggi non arriva ai 50 dollari. E nel corso di quest’anno è arrivato a prezzare meno di 30 dollari.

Anche i bassi prezzi dell’energia stimolano l’economia, perché abbassano i costi di produzione e incentivano così la produzione, mentre in un contesto di alta disoccupazione, quale quello italiano, alleviano le sofferenze delle fasce della popolazione maggiormente colpita dalla crisi.

 

 

 

Condizioni ottimali svaniranno

Infine, l’effetto di questi stimoli monetari senza precedenti ha ottenuto il risultato di indebolire l’euro contro le altre valute. Il cambio euro-dollaro è passato da quasi 1,40 del maggio 2014 all’1,10-1,15 di questi mesi.

Tutto questo, lo sappiamo già, prima o poi finirà. E quando le suddette condizioni sui mercati verranno meno, chi non avrà nel frattempo agganciato la ripresa si ritroverà davvero in mezzo a una strada, perché appare difficile immaginare che possa crescere con un quadro macro mutato sfavorevolmente. Dunque, meglio che tali sfide si materializzino il più tardi possibile.

Putin vuole prezzo petrolio più elevato

Eppure, gli eventi potrebbero farsi più veloci di quanto previsto. La settimana scorsa, il presidente Vladimir Putin ha incontrato il Principe saudita Mohammed bin Salman, concordando di arrivare a un’intesa per ravvivare le quotazioni del petrolio. Non si è parlato di “congelare” la produzione, ma una qualche risposta dovrebbero darla, nonostante il mercato sia scettico su una qualche soluzione politica.

Ammettiamo che Putin, a capo della prima economia produttrice di energia al mondo, riesca nel miracolo di mettere d’accordo sauditi e iraniani e di concordare un congelamento della produzione di greggio, magari anche un piccolo taglio. Le quotazioni del Brent schizzerebbero verso quei 60 dollari desiderati da Riad e dagli altri principali produttori dell’OPEC. Prezzi energetici più elevati implicherebbero un’accelerazione dell’inflazione, anche se difficilmente quella europea sfiorerebbe il 2% in tempi brevi.

 

 

 

Le conseguenze di un eventuale successo di Putin

Man mano che l’inflazione risalisse nell’Eurozona, i rendimenti dei bond aumenterebbero, perché il mercato inizierebbe a chiedere un premio maggiore per acquistare titoli a medio-lunga scadenza.

E la BCE dovrebbe almeno cessare di potenziare gli stimoli in atto, finendo nei mesi successivi per iniziare a ritirarli con gradualità.

Rendimenti obbligazionari e forse anche una politica monetaria meno accomodante nell’unione monetaria attirerebbero capitali dal resto del mondo, ridurrebbero le distanze con la politica monetaria della Federal Reserve e rafforzerebbero la moneta unica. Il cambio euro-dollaro, per intenderci, si porterebbe in una via di mezzo tra il livello attuale e quello di metà 2014, ma certamente sarebbe meno propizio per le nostre esportazioni.

Con una sola mossa, il successo diplomatico di Putin si esplicherebbe in un addio alla ripresa economica dell’Italia, che tra i paesi dell’Eurozona appare già uno dei peggio messi in termini di prospettive. Il Tesoro dovrebbe accantonare maggiori risorse per rifinanziare il debito, gli investimenti privati sarebbero colpiti da un aumento dei tassi di mercato, le imprese produrrebbero a costi maggiori ed esporterebbero di meno.