Le coincidenze quasi sempre non esistono e forse inizia a crederlo Silvio Berlusconi, perché mentre il suo partito si accingeva l’altro ieri a negare la fiducia al governo giallorosso di Giuseppe Conte, a Palazzo Grazioli riceveva la visita di Luigi Vecchi, presidente della divisione Continental Europe di Citigroup. Cosa aveva da dirgli il banchiere d’affari? A nome di Vincent Bolloré, offriva all’ex premier 3,50 euro per ciascuna azione detenuta direttamente dalla sua famiglia o tramite la holding Fininvest, qualcosa come circa 1,7 miliardi di euro, il 25% in più di quanto varrebbe la quota di controllo attualmente in capo ai Berlusconi, stando ai prezzi di borsa e lo stesso prezzo medio di carico iscritto a bilancio dai francesi di Vivendi.

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Le parti hanno smentito seccamente quanto riportato da Lettera 43, ma questo è un altro discorso. Il punto è che sembra davvero molto strano che il boss di Vivendi, nel corso di una dura battaglia legale contro Mediaset dopo la decisione di questa di spostare la sede legale in Olanda per rafforzare il controllo della famiglia Berlusconi sulla società, decida di uscire allo scoperto con una proposta apparentemente imperdibile e, guarda caso, mentre nasce il governo teoricamente più ostile agli interessi dell’ex premier, il “più spostato a sinistra della storia italiana”, per dirla con le parole del leader di Forza Italia.

L’impero di Berlusconi minacciato dai giallorossi

Sappiamo quanto il Movimento 5 Stelle detesti Berlusconi e viceversa. Ma fin quando la Lega era alleata dei grillini, nessuna proposta di legge ostile a Mediaset era stata presentata in Parlamento. Adesso, con il PD di Nicola Zingaretti a reggere il nuovo esecutivo, tutto può accadere. E sempre casualmente, l’atteggiamento di Forza Italia è stato sinora di opposizione “morbida”. Gli azzurri non si sono aggregati a Fratelli d’Italia e Lega nella manifestazione di lunedì  dinnanzi a Montecitorio per protestare contro “l’inciucio”, formalmente per distinguersi dalla destra euro-scettica e “populista”.

Chissà, invece, che non abbia avuto un ruolo proprio la paura che l’ex premier nutre nei confronti di questo governo.

Sì, perché se solo volesse, il Conte bis agevolerebbe le manovre francesi ai danni di Berlusconi. Sappiamo che, nonostante i rapporti con l’Eliseo siano stati pessimi con il governo gialloverde, adesso il premier ha cambiato musica e, anzi, ha iniziato proprio a stringere un’intesa personale con Emmanuel Macron, che verrà in visita a Roma il 18 settembre. In che modo Palazzo Chigi darebbe problemi a Berlusconi? Su più fronti. Anzitutto, nominando all’AgCom, l’authority che vigila sulle Comunicazioni, un presidente ostile all’ex premier. Essa ha fatto rifiatare Fininvest, quando ha congelato la quota di Vivendi eccedente il 10%, di fatto impedendole di insidiare l’assetto proprietario, pur in possesso di quasi il 29% delle azioni con diritto di voto.

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E nemmeno il tentativo dei francesi di bloccare lo spostamento della sede di Mediaset in Olanda ha trovato di recente ascolto presso l’authority, il cui atteggiamento rischia di mutare con una presidenza meno “filo-berlusconiana”. Per fortuna dell’ex premier, PD e M5S non avrebbero i numeri da soli per nominare il successore di Angelo Marcello Cardani, per cui o dovranno trovarli in Forza Italia o nella Lega. E va da sé che Berlusconi non avallerebbe alcuna nomina contraria ai propri interessi aziendali, né lo stesso Matteo Salvini s’inimicherebbe con l’alleato del centro-destra, adesso più che mai prezioso per gestire la difficile fase di passaggio all’opposizione.

Le possibili ritorsioni dei penta-piddini

Ma Conte avrebbe modo di minacciare Mediaset ottemperando a uno dei 26 punti dell’accordo di governo messi neri su bianco dall’M5S: il conflitto di interessi.

L’eventuale inasprimento delle norme che disciplinano la presenza in politica di soggetti titolari di concessioni governative colpirebbe ulteriormente Berlusconi come leader di partito, anche se non più parlamentare in Italia. Tuttavia, i colpi del KO sarebbero altri: tetti più stringenti per la pubblicità delle reti private, aumento per quelle Rai, innalzamento del canone di concessione e riduzione della quota di mercato che un unico soggetto potrebbe detenere e oltre la quale scatterebbe formalmente il tentativo di monopolizzazione ai danni della concorrenza.

Per essere più espliciti, il Conte bis potrebbe far vedere i sorci verdi a Berlusconi, minacciando di regolare il mercato pubblicitario a sfavore di Mediaset, deviandone quote verso le reti minori e della TV pubblica, nonché eventualmente rendendo incompatibile la presenza in politica di un soggetto con così tante reti. Tutto ciò avrebbe un effetto depressivo sulle azioni Mediaset, che non a caso hanno perso il 7% dalla metà di agosto, quando sono maturate le condizioni per un’alleanza a sorpresa tra PD e M5S. Per contro, l’indice Ftse Mib ha guadagnato l’8%, per cui il gruppo televisivo è andato in evidente controtendenza, scontando probabilmente un governo ostile ai propri interessi.

Mettetevi nei panni di Berlusconi: da un lato riceve un’offerta pari a circa il 25-30% in più del valore attualmente detenuto in Mediaset attraverso Fininvest e azioni dirette; dall’altro rischia di vedere evaporato parte del valore di tali azioni per via di ritorsioni legislative di grillini e piddini. Due le strade di uscita: vendere a Vivendi, la cui offerta diverrebbe ancora più appetibile, alla luce di quanto sopra scritto, sottraendosi al ricatto del governo giallorosso una volta per tutte, oppure cedere sul piano politico, vale a dire garantire a Conte la maggioranza al Senato, nel caso in cui questa si rivelasse fragile.

A pensar male si fa peccato, ma il più delle volte s’indovina.

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