E anche lo yuan cade vittima del super dollaro. Ieri, il tasso di cambio è salito a un minimo di 7,33, il valore più elevato sin dal 2007. Bisogna tornare indietro di 15 anni, in effetti, per trovare la valuta cinese così debole rispetto al biglietto verde. Perde il 13% quest’anno, sebbene ancora nel marzo scorso, a pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina, lo yuan si fosse portato nelle vicinanze dei massimi storici.

Non risulta difficile capire cosa stia accadendo. Dopo giorni in cui il fixing era stato tenuto invariato dalla Banca Popolare Cinese, questa ha iniziato a indebolirlo per riflettere le forze del mercato.

Durante il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, l’istituto aveva cercato di mantenere condizioni quanto più stabili possibili sul mercato forex. Finito l’evento che ha assegnato al presidente Xi Jinping il terzo mandato, lo yuan off-shore è stato ricondotto più ai suoi livelli di equilibrio.

Cause dello yuan debole

Proprio l’esito (scontato) del congresso avrebbe contribuito alla debolezza dello yuan. Xi è percepito in patria e all’estero quale il più grande sostenitore della politica del Covid zero. In altre parole, lockdown a tappeto al minimo manifestarsi di casi di contagio del virus. Queste misure, tuttavia, si traducono in un calo della produzione, delle esportazioni e, quindi, anche del PIL.

E tutto ciò finisce per acuire l’inflazione nel resto del mondo, riducendo la disponibilità di beni e materie prime per la produzione. A sua volta, questo scenario tende a riflettersi in tassi d’interesse più alti negli USA, i quali rafforzano il dollaro e stendono così le valute, asiatiche comprese, come lo yuan. Basti guardare a quanto accade da mesi allo yen, con la Banca del Giappone costretta ad intervenire sul mercato forex attraverso vendite di asset in dollari.

Nulla di tutto questo sta facendo la Banca Popolare Cinese, che punterebbe a indebolire lo yuan fino a un tasso di cambio massimo di 7,4-7,5 contro il dollaro.

Dall’istituto, comunque, non sembra arrivare preoccupazione per quanto stia avvenendo. Fanno notare come lo yuan tenderebbe a indebolirsi nella fase tarda del ciclo restrittivo dei tassi FED. Come a volerci segnalare che questo sia prossimo alla conclusione. E a crederlo, a dire il vero, iniziano ad esserlo anche analisti fuori dalla Cina.

Il rallentamento dell’economia cinese

La politica monetaria di Pechino sta andando in controtendenza rispetto al resto del mondo. Ad agosto, i tassi sono stati tagliati dal 3,7% al 3,65%. La seconda economia mondiale sta rallentando ai minimi da un trentennio a questa parte, attesa in crescita solo del 3,3% quest’anno. Non aiutano, infine, le tensioni geopolitiche. A settembre, la Casa Bianca emanò un ordine esecutivo per vietare l’esportazione di tecnologia avanzata legata ai chip in Cina. Nelle stesse settimane vi erano state le tensioni tra Pechino e Washington su Taiwan, a seguito della visita sull’isola della speaker alla Camera, Nancy Pelosi.

Gli investitori iniziano a chiedersi se la Cina sia ancora un ambiente favorevole agli investimenti. Le catene di produzione si stanno accorciando dopo la pandemia, non solo per autonome decisioni delle aziende. Gli impulsi dei governi, a partire da quello americano, vanno in tal senso. Si stanno lentamente riscrivendo le regole della globalizzazione, che nei venti anni passati avevano visto la Cina imporre il suo gioco al resto del pianeta. Lo yuan s’indebolisce sulla prospettiva che possa accadere adesso l’esatto opposto. Non sarebbe solo il super dollaro ad affossare il cambio cinese.

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