Si chiama Ales Michl, ha 44 anni e dal prossimo 1 luglio sarà il governatore della Banca Centrale Ceca per i successivi sei anni. Ha rilasciato un’intervista al quotidiano Ekonom nei giorni scorsi, in cui ha nei fatti annunciato che decuplicherà gli acquisti di oro nel giro di pochi anni. Porterà le riserve auree dalle attuali 11 tonnellate a 100 tonnellate. E ha spiegato quella che a tutti gli effetti possiamo definire una corsa all’oro con parole semplici. A suo dire, serve un approccio diverso per gestire le riserve valutarie.

La banca centrale, ha spiegato, deve poter realizzare profitti superiori ai costi sostenuti sui depositi delle banche. E i lingotti si presterebbero a questa operazione. Perché? Non hanno alcuna correlazione con i titoli azionari e servono a diversificare gli asset in portafoglio. Lo stesso Michl sostiene che durante il suo mandato l’istituto porterà dal 16% al 20% la quota di azioni sul totale delle riserve valutarie, così come hanno fatto Banca Nazionale Svizzera, Israele e fondi sovrani come quello norvegese.

La svolta di Visegrad

La Repubblica Ceca non è sola in questa corsa all’oro. Nell’ottobre del 2018, la banca centrale ungherese annunciò di avere innalzato da 3,1 a 35 tonnellate le riserve auree. L’anno scorso, dichiarò acquisti per ulteriori 63 tonnellate, portando le riserve a complessivi 94,5 tonnellate. Un passo simile è stato compiuto dalla Polonia, che sempre tra il 2019 e 2019 acquistò 127,5 tonnellate di oro, portandole a 228,6 tonnellate. Successivamente, Varsavia rimpatriava 100 tonnellate custodite presso la Banca d’Inghilterra.

I tre paesi fanno parte del Gruppo di Visegrad, un blocco geopolitico abbastanza omogeneo sul piano politico e culturale, di cui fa parte anche la Slovacchia sin dal 1991. Quest’ultima è l’unica, tuttavia, ad avere rinunciato a una propria valuta domestica, avendo adottato l’euro. Forse, non a caso non ha ad oggi annunciato alcun piano per incrementare le riserve di oro.

A parte la minore indipendenza, la banca centrale probabilmente non trova molto interesse a dare vita a simili operazioni, essendo “scudata” da Francoforte.

La corona ceca era stata per anni agganciata all’euro attraverso il cambio minimo di 25:1, ma adesso si è rafforzata al di sotto di tale soglia. Guadagna circa il 3% nell’ultimo anno contro la moneta unica. In generale, le tre banche centrali appaiono accomunate dalla volontà di rendersi più credibili e autonome rispetto all’Eurozona, puntando sull’oro come asset per garantire le rispettive valute. Un’operazione di segno opposto a quella che da molti anni sta avvenendo tra le grandi banche centrali.

Corsa all’oro contro un euro di debiti

E forse l’intervento più importante di Michl nel corso dell’intervista è quando spiega che un istituto debba creare “ricchezza” per il paese, anziché accumulare debiti. Esso, sintetizza, deve riuscire a generare più profitti dei costi, perché solo con “risparmi e ricchezza” potrà “mitigare gli effetti dei disastri”. Un cambio di paradigma presso banche centrali marginali, ma che in Europa sembrano concordare sulla presa di distanza di un euro come “Schuldenunion”, ossia fondato sui debiti.

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