Non c’è la luna di miele per il nuovo ministro dell’Economia, Silvina Batakis, chiamata dal presidente Alberto Fernandez a sostituire il dimissionario Martin Guzman. Cittadini e mercati finanziari hanno subito sfiduciato la nuova responsabile della politica economica, temendo che la crisi dell’Argentina finisca per aggravarsi. La donna è esponente della sinistra facente capo a Cristina Fernandez de Kirchner, l’ex “presidenta” tra il 2007 e il 2015 e oggi numero due dell’amministrazione peronista. L’accoglienza non è stata benevola. Il cambio tra dollaro e pesos sul mercato nero è collassato fino al 18% lunedì, balzando a un massimo di 280.

Sul mercato ufficiale, invece, per un dollari ci vogliono ancora 126 pesos.

Crisi argentina, paura sui mercati

Il tonfo ha riguardato anche i bond in dollari, che sono scesi da una quotazione già infima di 20 centesimi ad appena 13 centesimi. Il mercato sta scontando un ennesimo default imminente, a distanza di appena due anni dal precedente. Giù anche l’indice Merval dell’1%, mentre i negozi hanno registrato nel fine settimana una corsa agli acquisti di beni d’importazione come caffè e finanche frigoriferi. I cittadini hanno paura che l’inflazione acceleri ulteriormente dal 61% di maggio. I siti delle banche online sono stati presi d’assalto da molti clienti che hanno spostato altrove i loro risparmi.

Non c’è fiducia in Batakis, la quale ha cercato di rassicurare il paese affermando che la sua politica economica sarà in continuità con quella del predecessore. Ma è una palese bugia. Guzman è stato fatto fuori dall’area politica a cui appartiene il nuovo ministro, la quale chiede più spesa pubblica, maggiori controlli dei prezzi, dei capitali e dell’import-export, nonché del tasso di cambio da parte della banca centrale. E questa è intervenuta vendendo 98 milioni di dollari sul mercato, nonostante non sia nelle condizioni di intaccare le riserve valutarie già striminzite.

Sfiducia nel nuovo ministro

La crisi argentina è grave e con ogni probabilità peggiorerà nei prossimi mesi.

Tagliata fuori dai mercati internazionali dall’ultimo default, l’Argentina riesce a finanziarsi solo con emissioni di titoli di stato in pesos e della durata massima di 90 giorni. Una situazione insostenibile, a detta di tutti. E si allontana la prospettiva di un ritorno alle emissioni internazionali, dato che Batakis potrebbe non dare seguito agli accordi tra il predecessore e il Fondo Monetario Internazionale sui 44 miliardi di dollari di prestiti rinegoziati. Tra l’altro, una delle condizioni annesse consiste nel portare i tassi d’interesse stabilmente sopra l’inflazione. Al momento, essi viaggiano di 9 punti percentuali sotto.

Le dimissioni di Guzman segnano una svolta in negativo nell’esperienza di governo già distintasi per scarsa capacità di dare risposte all’economia. La povertà è attesa in crescita al 40%, l’inflazione potrebbe salire all’80% e il cambio continuerà a deprezzarsi sul mercato nero, indipendentemente dalla mancata svalutazione del tasso ufficiale. Gli argentini non hanno fiducia nella gestione dell’economia e convertono i risparmi in valute forti come il dollaro. Da qualche giorno sanno che ad amministrare le loro finanze c’è una personalità ostile al libero mercato e all’equilibrio dei conti pubblici. Le aspettative d’inflazione potrebbero surriscaldarsi ulteriormente fino a scatenare una crisi ancora più devastante per la terza economia latino-americana.

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