E’ stato un fine settimana a dire poco confuso e movimentato per la politica italiana, tornata a scontrarsi dopo la breve tregua nel nome dell’unità nazionale. Il nuovo decreto sul Covid del governo Draghi conferma l’imposizione del coprifuoco alle 22. In assenza di novità, resterebbe in vigore fino al 31 luglio. La Lega di Matteo Salvini non ci sta e minaccia l’astensione in Aula. Il premier Mario Draghi difende la misura, sebbene non escluda una sua revisione nelle prossime settimane e sulla base dei dati su contagi e numero di morti.

Il ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, ha cercato dal canto suo di trovare una posizione mediana. E qualche giorno fa ha sostenuto che il coprifuoco alle 22 consenta ai clienti dei ristoranti all’aperto di alzarsi dal tavolo proprio all’ultimo minuto. Insomma, vi sarebbe tolleranza riguardo agli spostamenti dopo le 22. Ma il sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia, ha smentito tale ricostruzione, chiarendo che titolato ad esprimersi sul tema sia solo il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. E ha escluso deroghe a favore dei clienti dei ristoranti.

In sostanza, coprifuoco alle 22 significa tornare a casa prima delle 22 e non dopo. I ristoratori giustamente protestano, si sentono presi in giro. Essi lamentano che ciò li indurrebbe a chiudere le cucine tra le 21 e le 21.30 e a fare alzare i clienti prima delle 22. Sarebbero davvero pochi i clienti che riuscirebbero a cenare fuori casa. E non dappertutto il clima consente ancora di allestire tavoli all’esterno.

Coprifuoco alle 22 un colpo al turismo

Ma il problema del coprifuoco alle 22 è più pregnante. Annunciare in aprile che esso rimarrà in vigore fino a fine luglio, cioè per gran parte dell’estate, significa due cose. La prima, seminare un clima di frustrazione e disperazione tra le categorie coinvolte, inducendole a sopportare con sempre maggiore insofferenza le restrizioni anti-Covid.

Manca, in sostanza, quella prospettiva di ritorno alla normalità in tempi brevi, di cui lo stesso Draghi parlò agli esordi del suo governo. Secondariamente, implica colpire le prenotazioni turistiche dall’Italia e dall’estero.

Chi mai starà organizzando una vacanza nel Bel Paese, sapendo che non potrà verosimilmente uscire di sera? E poiché il grosse delle prenotazioni alberghiere avviene proprio in questo periodo, rischiamo di colpire il turismo con una comunicazione-boomerang. Quand’anche il coprifuoco alle 22 venisse rimosso del tutto a maggio o giugno, oppure spostato di una o più ore in avanti, il danno sarebbe fatto. Ma senza la ripresa del turismo, l’economia italiana rischia di non ripartire neppure nel terzo trimestre. E il mancato aggancio alla ripresa globale in corso risulterebbe esiziale per la tenuta del tessuto sociale, produttivo e dei conti pubblici.

Rischio default dietro l’angolo

Già, i conti pubblici. Mentre disquisiamo se sia scientifica o politica la natura dell’imposizione del coprifuoco alle 22, il debito pubblico lievita. Quest’anno, a seguito del nuovo scostamento di bilancio di 40 miliardi di euro, il deficit è stimato dal governo all’11,8%. Nel 2020, si era fermato al 9,5%. Si tratterebbe del dato più alto degli ultimi 30 anni. Il rapporto debito/PIL salirebbe ulteriormente in area 160%. E queste previsioni si fondano sulla stima di un PIL a +4,5%, tagliata dal precedente +6% e superiore al 4,2% atteso dal Fondo Monetario Internazionale.

Draghi sa che la BCE non manterrà all’infinito le misure anti-Covid. Nei prossimi mesi, gli acquisti di bond con il PEPP potrebbero rallentare. Nessun rialzo dei tassi in vista, ma la comunicazione di Francoforte preparerebbe i mercati a una svolta futura già agli inizi dell’anno prossimo. Il costo di emissione del debito salirebbe e con esso si ridurrebbe la sostenibilità dello stesso, nel caso in cui nel frattempo l’economia italiana non avesse iniziato a riprendersi.

Il coprifuoco alle 22 sta diventando il simbolo di uno scontro tra chi, con la doverosissima prudenza cerca di ripartire, e chi nel nome della salute pubblica pretende di bloccare le attività produttive per ancora chissà quanti mesi.

L’unica soluzione possibile sarebbe che le vaccinazioni di massa ci consentano entro breve di raggiungere, se non l’immunità di gregge vera e propria, almeno quella massa critica indispensabile per far crollare i contagi e, soprattutto, il numero dei morti. Serve vaccinare, vaccinare e vaccinare. Draghi non può più tollerare ritardi di Bruxelles o inefficienze delle regioni. Il default dell’Italia dipende dall’evoluzione dei prossimi mesi del Covid e dell’economia nazionale. Neppure “Super” Mario riuscirebbe ad evitarlo con la morte delle categorie produttive.

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