A giugno, i prezzi al consumo in Italia sono lievitati dell’8% su base annua. L’inflazione non era mai stata così alta dal 1986. Salari e stipendi stanno accusando la maggiore perdita del potere d’acquisto da decenni, anche dopo che se ne calcolino i modesti aumenti medi di questi mesi. Una situazione di allarme, perché di questo passo i titolari di redditi fissi si ritroveranno in molti casi a dovere ridurre i consumi non primari. Nel frattempo, però, presso le banche italiane risultano depositati oltre 1.860 miliardi di euro.

Da un certo punto di vista, queste giacenze rappresentano una sorta di polizza degli italiani contro i rischi immediati derivanti dal carovita. Tuttavia, il risparmio stesso non è remunerato oramai da diversi anni.

L’ultimo decennio è stato l’era dei tassi negativi. La liquidità abbondante iniettata dalla BCE sui mercati nell’Eurozona ha premiato senza dubbio i debitori, non certo i creditori. Chi ha prestato denaro, nel migliore dei casi si è dovuto accontentare di tassi alla pari con l’inflazione o poco sopra di essa; nel peggiore, di rendimenti nominali negativi, cioè di perdite certe alla scadenza.

Tassi più alti per BTp e Buoni fruttiferi

A maggio di quest’anno, il tasso d’interesse medio praticato dalle banche ai clienti sui conti deposito era dello 0,32%, lo stesso di un anno prima. Mentre l’inflazione galoppa, gli interessi offerti ai risparmiatori restano invariati e prossimi allo zero. Questa immensa liquidità infruttifera è diventata un costo-opportunità insostenibile per un’economia malconcia come la nostra. E dire che le alternative ci sono, anche solo limitandoci al segmento “a rischio zero”.

I titoli di stato offrono già l’1% per scadenze a 2 anni. E in settimana, la Cassa depositi e prestiti ha ritoccato all’insù i tassi dei Buoni fruttiferi postali, offrendone anche nuove tipologie. Già per i 12 mesi è possibile ottenere l’1%, mentre per le scadenze più lunghe si arriva al 3-3,50%.

Dunque, non è più tanto vero che il risparmio renda zero ovunque lo porti. Restano le banche a non offrire praticamente nulla, colme di liquidità erogata loro sottocosto dalla BCE. Le condizioni dovrebbero diventare più restrittive nei prossimi mesi, quando proprio Francoforte punterà a battere l’inflazione riducendo il grado di liquidità sui mercati.

Le banche resistono ai tassi

Per il momento, però, aspettare passivamente che le cose migliorino sul fronte dei prezzi e/o degli interessi offerti infligge grosse perdite. Se hai 10.000 euro in banca, con un’inflazione dell’8% nell’ultimo anno hai perso 800 euro di potere d’acquisto. Certo, per fortuna le stime puntano su una crescita dei prezzi calante per i prossimi anni. E c’è da dire che i rendimenti di BTp e Buoni fruttiferi postali, per quanto in risalita, continuano a sostare sotto i livelli d’inflazione in questi mesi. Ma cercare almeno di attutire il colpo sarebbe già qualcosa senza necessariamente esporsi ad asset rischiosi.

Finché lasceremo i nostri risparmi sui conti a interessi zero, perché mai le banche italiane dovrebbero mutare policy? Neppure se non disponessero più di liquidità in eccesso avrebbero alcuna convenienza ad alzare i tassi a favore dei clienti. Solo una vigorosa risposta dei risparmiatori cambierebbe il quadro. La verità è che molto di quel risparmio è ammassato presso le banche per la paura delle famiglie di doverne disporre nel prossimo futuro. L’incertezza cresce tra recrudescenza della pandemia, guerra, inflazione e venti di recessione. E gioca a favore delle banche.

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