Giornata importante quella di ieri per i Bitcoin, che sono arrivati a sfiorare i 4.700 dollari, scendendo successivamente in area 4.670 e segnando un ennesimo record. E così, le 16,5 milioni di “criptomonete” emesse valgono sul mercato sui 76,4 miliardi di dollari, portando la capitalizzazione di tutte le monete digitali a oltre 160 miliardi, poco più di un millesimo rispetto a quanto vale il mercato finanziario globale, ma in rapida ascesa. I guadagni superano quest’anno il 380% e fa impressione la sequenza della crescita dei prezzi: a inizio 2017 rivedevano quota 1.000 dollari per la prima volta dal novembre 2013, ma a già a maggio sfondavano la barriera dei 2.000.

Poche settimane dopo, veniva infranta anche quella dei 3.000 dollari e dalla metà di agosto si erano portati stabilmente sopra i 4.000. (Leggi anche: Ecco perché Corea del Nord potrebbe far esplodere prezzi Bitcoin ancora)

Se avessimo acquistato un Bitcoin a 10 dollari nell’estate 2012, adesso saremmo in possesso di un valore per 450 volte superiore. Avendoci investito solamente 1.000 dollari, ne avremmo oggi oltre 450.000. Nessun altro asset ha reso così tanto, e ci mancherebbe altro. Siamo in presenza di risultati straordinari e inattesi dai più. In molti vi chiederete se sia il caso di entrare ancora su questo mercato o se sia troppo tardi. Il meglio sarebbe quasi certamente alle spalle, ma più di un analista stima che i Bitcoin possano salire fino a 50.000 o forse anche 100.000 dollari, che implicherebbero, in ogni caso, un rendimento del 1.000-2.000%.

Ma come dovremmo considerare i Bitcoin? Moneta o commodity? Le autorità finanziarie delle principali economie hanno idee diverse e l’una o l’altra soluzione spesso dipende più da ragioni fiscali che non di reale lettura del fenomeno. Quale che sia l’orientamento prevalente, poco importa a chi investe. Semmai, cresce il numero di coloro, che tra analisti e traders si chiedono se la criptomoneta possa essere considerata il nuovo oro.

Bitcoin o oro?

Senza voler offrire alcuna risposta certa, vi suggeriamo qualche considerazione: l’oro è il bene-rifugio per eccellenza, mostratosi nei secoli capace di tutelare il potere di acquisto della moneta contro l’inflazione. Esso si caratterizza per un’offerta rigida e carente rispetto alla domanda, nonché per un’accettazione universale, in ogni tempo e in ogni luogo, indipendentemente dalla specifica cultura. Se per ipotesi sparissero oggi tutte le monete ufficiali dalla circolazione, l’oro verrebbe utilizzato senza alcun problema quale mezzo di scambio per l’acquisto di merci e l’erogazione di servizi. (Leggi anche: Paura dei Bitcoin, banche centrali studiano moneta digitale ufficiale)

Non la stessa cosa possiamo (ancora) dire dei Bitcoin, relegati a un minuto gruppo di investitori. Si stima che gli utilizzatori delle monete digitali siano oggi tra 5 e 10 milioni, ovvero appena un abitante su 1.000 sulla Terra ne farebbe uso. Poco per potere effettuare paragoni con un bene riconosciuto da ognuno degli oltre 7 miliardi di abitanti terrestri. Eppure, potenzialmente i Bitcoin offrirebbero condizioni persino più rassicuranti dell’oro: quale che sia il suo livello dei prezzi, l’offerta è prefissata e un algoritmo ha già previsto il numero massimo di monete da emettere, che sarà di 21 milioni di unità, 5,5 milioni in più di quelle odierne.

In altre parole, Bitcoin è per sua natura una moneta deflattiva, in quanto tende ad accrescere il suo valore con l’aumentare della domanda, mentre non lo stesso si può dire aprioristicamente dell’oro, le cui estrazioni dipendono, come per ogni altra materia prima, proprio dalle quotazioni internazionali. Se per ipotesi il prezzo all’oncia raddoppiasse in poche sedute, le compagnie estrattrici si affannerebbero a riattivare persino miniere dismesse, al fine di approfittare dei maggiori margini. Così facendo, però, creerebbero le condizioni per un ripiegamento dei prezzi, a causa della maggiore offerta.

Puntare sui Bitcoin per la vecchiaia?

Sia l’oro che i Bitcoin, pur essendo assimilabili fino a un certo punto alla moneta, non possono essere controllati dalle banche centrali, anche se il metallo non vi sfugge del tutto. Pensate se la Federale Reserve o la BCE iniziasse a inondare il mercato globale di oro per colpirne le quotazioni.

Le cronache di questi giorni ci informano di un informatico svedese, tale Alexander Bottema, che acquistò un quantitativo ignoto di Bitcoin nel 2013 a 30 dollari e che oggi, quindi, avrebbe in portafoglio un valore di 150 volte più alto. L’uomo ha chiarito di non avere voluto vendere tale asset, ambendo a utilizzarlo come risparmio per la vecchiaia. Solo se i prezzi arrivassero a 100.000 dollari, spiega, ci farebbe un pensiero. Quello di Bottema sarebbe il primo caso dichiarato di investimento in Bitcoin a scopi previdenziali e non prettamente speculativi. (Leggi anche: Tutti pazzi per Bitcoin: bolla da criptomoneta o scommessa vincente?)

Una rondine non fa primavera, ma le ottime performances della moneta digitale più popolare negli ultimi tempi stanno ponendo gli stessi fondi di investimento dinnanzi a un dilemma: inserire in portafoglio o meno i Bitcoin? I rischi percepiti sono ancora elevati, anche perché non è perfettamente chiaro cosa vi sia dietro e i furti informatici, per quanto diminuiti drasticamente negli anni, restano. D’altra parte, più i prezzi si mostrano resilienti a diversi fattori ostili, compresi quelli gli ostacoli regolamentari in economie come la Cina, più cresce il dubbio che si stiano perdendo occasioni d’oro per aumentare il rendimento dei clienti.

Di seguito, la performance in dollari di Bitcoin e oro nell’ultimo anno:

BTC                  Oro

1 mese:              +62,6%;            +3,4%;

3 mesi:               +100%              +3,6%

da 1 gennaio:     +383%              +13,8%

1 anno:               +717%              -2,5%