Alla fine di luglio, il leader di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, è stato ucciso con un attacco via drone a seguito di un’operazione della CIA. Accusato di essere una delle menti degli attacchi suicidi dell’11 settembre, l’uomo è stato colpito a Kabul, mentre stava sul balcone di una casa in centro. Per l’Afghanistan, anzi per il popolo afghano, si tratta di una pessima notizia. Difficilmente dopo la conferma che i talebani continuino ad ospitare terroristi internazionali, gli USA e organizzazioni come la Banca Mondiale sbloccheranno gli aiuti in favore del paese.

Tra pochi giorni, ricorre il primo anniversario del ritorno dei talebani al potere dopo venti anni di occupazione militare americana. E l’Afghanistan versa in condizioni spettrali.

Afghanistan in crisi profonda sotto i talebani

Il ritiro delle truppe americane gettò un anno fa nello sconforto gran parte della popolazione. Il 15 agosto, i talebani entravano nuovamente a Kabul per la prima volta dal 2001, conquistandola senza praticamente sparare un colpo. Da allora, l’economia domestica è collassata totalmente. Il ventennio di occupazione non aveva fatto attecchire alcun tipo di sviluppo, tant’è che l’80% del budget statale era composto da aiuti internazionali e umanitari.

Con il ritorno dei talebani, poi, l’Afghanistan ha perso le sue riserve valutarie. Ammontano a 9 miliardi di dollari, di cui 7 miliardi sono detenuti dagli USA. Il presidente Joe Biden ha disposto che la metà di tali risorse sarà impiegata eventualmente in aiuti alla popolazione, l’altra metà sarà distribuita ai parenti delle vittime dell’11 settembre. Quanto alla prima tranche di 3,5 miliardi, tuttavia, non c’è ancora accordo tra i due paesi circa il loro impiego effettivo. Washington chiede che il denaro passi attraverso una struttura parallela alla banca centrale, temendo che altrimenti finisca per finanziare i talebani e le loro operazioni di stampo terroristico.

Rischio carestia e donne discriminate

Le Nazioni Unite calcolano che il 98% degli afghani abbia cibo insufficiente, mentre un quarto di loro rischia la carestia vera e propria.

Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato nel 30% il crollo del PIL con il ritorno dei talebani. Il PIL pro-capite sarebbe sceso a 350 dollari, al di sotto della soglia di povertà assoluta, che secondo la definizione ufficiale è pari a 1,90 dollari al giorno. Nel frattempo, i prezzi al consumo sono esplosi del 50%, complice il collasso del cambio al mercato nero. E il tasso di disoccupazione è schizzato al 40%. I rapporti internazionali spiegano che per tornare ai livelli di PIL del 2015, l’Afghanistan dovrebbe creare 12 milioni di posti di lavoro entro il 2030.

Manifestazioni di protesta si sono svolte negli ultimi mesi contro le esportazioni a prezzi politici di carbone al Pakistan. Gran parte della popolazione vi ha trovato conferma che il paese altro non sia che una provincia di Islamabad. Ma il prezzo più alto di questa crisi lo stanno pagando certamente le donne. Negato loro l’accesso all’istruzione secondaria (ma i talebani mandano le figlie a studiare all’estero), sono costrette a indossare il burka o l’hijab. Le dipendenti al Ministero delle Finanze sono state tutte licenziate a favore di parenti maschi. Eccidi sarebbero stati, poi, perpetrati ai danni della minoranza hazara. Chi può, prende il passaporto e scappa. E poco importa persino dove, perché ovunque sembra essere meglio che in Afghanistan.

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