Quota 100 non sarà rinnovata dopo il 2021. Lo ha deciso il governo Conte, che cerca una soluzione per evitare che i lavoratori si ritrovino dinnanzi a uno “scalone” di 5 anni per andare in pensione. Fino alla fine dell’anno prossimo, infatti, si potrà lasciare il lavoro con almeno 62 anni di età e 38 di contributi. Dal 2022, servirebbero 67 anni di età, quelli fissati dalla legge Fornero nel 2011. Ci sarebbe una scappatoia, ovvero ricorrere alla pensione anticipata, ma servirebbero 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.

Questi i requisiti per il 2021.

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Difficile, però, che con una quantità così alta di contributi richiesti sia possibile anticipare la pensione significativamente rispetto ai 67 anni, a meno di non avere iniziato a lavorare giovanissimi e senza interruzioni. Ma avete sentito parlare di pensione anticipata contributiva? Se sì, sapete già che vi basterebbero 64 anni di età (+3 mesi dal 2021) e 20 di contributi per la quiescenza. Vediamo nei dettagli come funziona.

Coloro che fino al 31 dicembre 1995 non avevano maturato alcun contributo rientrano automaticamente tra i lavoratori che andranno in pensione con il metodo contributivo. Il loro assegno sarà interamente determinato dal montante contributivo, cioè dai versamenti effettuati e rivalutati nel tempo. Potranno optare per la pensione anticipata contributiva anche i lavoratori con meno di 18 anni di contributi versati al 31 dicembre 1995, purché in possesso di almeno 15 anni di contributi entro quella data e di almeno 5 successivamente ad essa.

Il requisito dell’assegno minimo

I requisiti anagrafico e contributivo da soli non bastano. Poiché il calcolo contributivo tende ad essere meno generoso di quello retributivo e misto, il legislatore ha fissato un altro paletto per evitare che il lavoratore vada in pensione con un assegno insufficiente per mantenersi durante la vecchiaia, pur di anticipare l’uscita di qualche anno.

Per questo, dovrà percepire un importo mensile di almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Quest’ultimo ammonta a 459,83 euro per quest’anno, per cui l’assegno minimo che il lavoratore dovrà percepire ricorrendo alla pensione anticipata contributiva è fissato in 1.287,52 euro.

Si tratta di un importo relativamente elevato, che presuppone di avere accumulato un montante contributivo di circa 276 mila euro. Capite benissimo che questa via di uscita dal lavoro non sia alla portata di tutti. Poiché i contributivi “puri” sono persone che hanno iniziato a lavorare da meno di 25 anni, dovrebbero avere versato tanti contributi in breve tempo per riuscire a centrare il terzo requisito di cui sopra. A proposito, i contributi figurativi non vengono computati nel calcolo degli anni minimi necessari.

Quale sarebbe il profilo tipico di chi va in pensione anticipata con il contributivo? Un lavoratore che è entrato nel mercato del lavoro in tarda età e che ha fatto velocemente una carriera brillante, occupando posizioni di rilievo e ben retribuite. Non si tratta di una soluzione per molti e forse bisognerebbe agire proprio allentando i requisiti per l’accesso, al fine di ampliare la platea dei potenziali beneficiari e disinnescare la “bomba” sociale che rischia di esplodere con la fine di quota 100. Ad esempio, abbassare l’importo minimo richiesto da 2,8 volte a solo 2 volte l’assegno sociale consentirebbe a molti più lavoratori di approfittare dell’uscita, bastando un montante di circa 200 mila euro. Tuttavia, si rischierebbe per contro di beneficiare i lavoratori con pochi anni di contributi, anziché concentrare le risorse sugli over 60 con molti contributi versati.

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