C’è una notizia tra lo scioccante e l’imbarazzante: per il prossimo 9 dicembre, CGIL, CISL e UIL hanno indetto lo sciopero dei dipendenti pubblici contro l’esiguità delle risorse stanziate a favore del settore pubblico dal governo con la legge di Bilancio 2020. I sindacati lamentano aumenti delle retribuzioni insoddisfacenti e scarse assunzioni, chiedono di utilizzare i fondi del Recovery Plan per migliorare i servizi. Non avete letto male, è proprio così: i sindacati italiani scioperano per rivendicare maggiori diritti a favore dei dipendenti pubblici, la categoria da sempre iper-garantita d’Italia e che questa crisi nei fatti non solo non la sta sfiorando neppure di striscio, ma anzi la sta in molti casi vivendo lavorando poco o nulla (vedasi i tempi biblici per ottenere un servizio elementare, come il rinnovo di una carta d’identità) da casa.

Eppure, non dovrebbe sorprendere. I sindacati italiani sono sconnessi dalla realtà da decenni. Non hanno idea di quali siano realmente le categorie sofferenti e si limitano a difendere come l’ultimo giapponese i sempre meno iscritti, la cui età anagrafica risulta non a caso sempre più alta. Essi vorrebbero approfittare delle maniche larghe con cui l’Unione Europea in questa fase analizza i bilanci pubblici nazionali per ottenere maggiori risorse a favore dei soliti noti.

Dipendenti pubblici vincitori immorali dell’emergenza Covid

L’Italia che sta emergendo da questa emergenza Covid è quella duale di sempre, semmai molto più estrema. Abbiamo da un lato un nutrito gruppo di categorie mantenute dallo stato, cioè a carico dei contribuenti, composto da titolari di sussidi e una gran parte di dipendenti pubblici annidati in sovrannumero negli uffici a fare i passacarte senza alcuna utilità per la società. Anzi, perlopiù sono un freno alla crescita dell’economia, traducendosi in una burocrazia soffocante e grottesca per chi investe e lavora.

L’Italia duale del Covid

C’è, poi, un settore privato sempre meno incisivo nell’orientare gli umori dell’opinione pubblica e dei governi, non fosse altro che per il fatto di essere netta minoranza numerica. Parliamo di 20 milioni di italiani su una popolazione di 60 milioni. Solo un abitante su tre nello Stivale produce ricchezza che lo stato può redistribuire a favore di chi vuole. E paradossalmente è la parte dell’Italia più snobbata, per non dire malvista dalla politica e da ampia parte dell’opinione pubblica. Lavoratori dipendenti, piccoli imprenditori, liberi professionisti e autonomi.

Luca Ricolfi, già autore de “La Società Signorile Di Massa”, adesso parla apertamente di “società parassitaria di massa”. In sostanza, avremmo compiuto un passo in avanti verso il burrone. Se prima del Covid vivevamo al di sopra delle nostre possibilità, grazie ai risparmi accumulati nell’era delle vacche grasse, adesso il governo Conte avrebbe trasformato l’Italia in una società di sussidiati, gente che vive di elargizioni dello stato e che drena risorse a chi le produce.

La nuova lotta di classe non è più tra lavoratori e imprenditori, ma sempre più tra ceti parassitari da un lato e produttori di ricchezza dall’altro. A proposito, il grosso dei dipendenti pubblici è funzionale alla creazione della ricchezza, perché fornisce a tutti un’istruzione adeguata, cure mediche e prevenzioni dalle malattie, infrastrutture essenziali per il trasporto delle merci, per la comunicazione, etc. Indubbiamente, però, all’intero del variegato settore statale nidifica da decenni una burocrazia parassitaria che si autoalimenta e si regge su un patto più o meno palese con le istituzioni rappresentative. Insieme alla vasta schiera dei sussidiati, essa sta impoverendo ed esasperando i suoi benefattori, cioè coloro che la ricchezza la creano.

Bonus come se piovessero, ecco cosa c’è dietro alla sfilza di soldi elargiti dal governo

Siamo vicini al punto di non ritorno

Perché l’emergenza Covid sta accrescendo tali tensioni? Essa ha diviso irrimediabilmente in due l’Italia tra garantiti e bastonati.

Ai primi è concesso tutto, persino di fingere di lavorare e di usufruire di risorse crescenti anche in piena crisi. Ed ecco spuntare come i funghi bonus e sussidi, nonché richieste strambe, come di chi agli uffici INPS in Sicilia nella primavera scorsa pretendeva un extra di 10 euro per ciascuna pratica per la cassa integrazione sbrigata. Sono il popolo del #iorestoacasa, a cui andrebbe aggiunto #conituoisoldi. E’ l’Italia ipocrita della solidarietà sulle spalle degli altri, del finto senso civico, dell’invidia sociale e dei bastoni tra le ruote a chi vorrebbe lavorare.

Poi, c’è chi chiede solamente di potersi recare al lavoro, di alzare la saracinesca e si vede inghiottito in un vortice di Dpcm, circolari, aiuti promessi e raramente mantenuti e scadenze fiscali a cui ottemperare prima o poi ugualmente. Il governo Conte è funzionale alla prima Italia, quella del reddito di cittadinanza e dei bonus, mentre per cultura politica risulta estraneo al mondo dell’impresa, del commercio, dell’artigianato, dello stesso lavoro dipendente. E non riuscendo a capire queste categorie, vuole farle rientrare tra il vasto mondo dei sussidiati, trasformando il lavoro in bonus, l’imprenditore in un mantenuto dallo stato, il lavoratore in un cassintegrato perenne. Quando a produrre ricchezza saranno rimasti davvero in pochi per consentire allo stato di distribuirla, ecco che allora scoppieranno i tumulti di piazza. E manca pochissimo tempo.

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