Carissimo Presidente Sergio Mattarella,

qualche giorno fa, rispondendo a una domanda degli studenti in visita al Quirinale, Lei ha sostenuto che l’evasione fiscale sia “una cosa davvero indecente”, perché chi non paga le tasse sfrutta coloro che le tasse le pagano per mantenere i servizi pubblici. La Sua affermazione in sé appare corretta, persino ineccepibile. E del resto, Lei è persona da sempre equilibrata nell’uso delle parole, oltre che nei comportamenti. L’evasione fiscale, ha aggiunto, sarebbe anche “un fatto di cultura, di mentalità”.

E in un certo senso è vero. Non possiamo nascondere dietro un dito una realtà diffusa in alcune aree d’Italia, con riferimento particolare al Meridione, dove non pochi cittadini si mostrano tipicamente allergici al pagamento delle tasse.

Tuttavia, ridurre il problema dell’evasione fiscale a un solo comportamento criminoso sarebbe inutile per le istituzioni di cui Lei è massimo rappresentante. Anzi, esse dovrebbero cercare di comprendere le ragioni di quell’ammanco fiscale, che tutti gli istituti di statistica calcolano incidere per oltre 100 miliardi di euro all’anno, per quanto opinabili siano sempre le stime che prescindano dalla valutazione di scenari alternativi, come sarebbe l’economia italiana in cui tutti pagassero le tasse e non vi fosse alcuna attività sommersa (produttrice, comunque, di redditi).

Qualche mese fa, la CGIA di Mestre ha calcolato in circa 200 miliardi di euro ogni anno gli sperperi dello stato. Anche in questo caso, le stime lasciano il tempo che trovano, ma vogliamo ragionare per grandi numeri e quel che emerge, caro presidente, è la seguente: gli italiani evadono le tasse in percentuale elevata, ma nel frattempo ciò non fa desistere lo stato dal sovra-spendere, anzi dallo sperperare i soldi dei contribuenti.

Gli sprechi ammonterebbero al doppio del minore gettito fiscale legato all’evasione. E nemmeno questo è accettabile, perché se è vero che non pagare le tasse equivalga a vivere a scrocco, cioè sulle spalle di chi le paga, indubbio appare anche, però, che sprecare i denari pubblici significhi giustificare sul piano morale (mai giuridico) gli evasori, i quali trovano così conferma del fatto che allo stato i quattrini non manchino e che, quindi, il mancato aumento degli stipendi pubblici e il mancato miglioramento dei servizi non abbiano a che vedere, se non in specifici casi, con il minore gettito.

Aldilà delle stime, Presidente Mattarella, ritiene che si possa davvero legare la carenza dei servizi all’evasione fiscale, se oggi come oggi lo stato italiano spende quasi la metà del pil? Quanto ancora dovrebbe spendere se tutti gli italiani pagassero le tasse? E da meridionale, non potrà non riconoscere come al Sud sia proprio la pessima gestione della spesa pubblica a rendere l’evasione fiscale poco grave agli occhi dei cittadini, anche di quelli onesti. Tutti sanno, infatti, che gli enti locali spendono troppo e male i soldi dei contribuenti e che, quindi, se ne incassassero di più li destinerebbero non a potenziare i servizi, bensì ad alimentare le solite consorterie vicine ai potentati di turno, mentre imprese e liberi professionisti nel complesso attendono pagamenti per oltre 50 miliardi di euro per servizi e beni forniti alla Pubblica Amministrazione.

Questo debito – leggasi alla voce “commerciale” – getta discredito sullo stato e non si capisce perché non debba considerarsi al pari di un default, come se il Tesoro non onorasse le scadenze finanziarie nei confronti degli obbligazionisti. Per caso è meno grave che lo stato mandi sul lastrico imprese e famiglie per i ritardi nei pagamenti, quando si fa di tutto (e giustamente) per evitarne anche solo uno nella propria storia a proposito dei BTp? Che il lavoro, su cui si fonda la Repubblica per definizione della Costituzione nel suo primo articolo, sia diventato un bene di secondaria importanza rispetto ai risparmi investiti? E’ serio che un Comune, una regione o altro ente pubblico si facciano fornire beni e servizi dai privati senza essere certi del rispetto dei tempi di pagamento?

Del resto, a fronte dei circa 750 miliardi di euro di spesa pubblica primaria, quella al netto degli interessi sul debito, per servizi come la scuola ne dedichiamo meno di un decimo, per la sanità poco più di 100 e per l’insieme degli stipendi pubblici tra un quinto e un quarto del totale.

Dunque, ci sarebbero ad occhio e croce decine di miliardi di possibili risparmi, che si tradurrebbero in minori tasse per i contribuenti onesti e in un clima di maggiore severità verso gli evasori. Ma non sembrano mai effettivamente queste le priorità delle istituzioni italiane a ogni livello.

Per questo, egregio Presidente, pur essendo la Sua reprimenda pubblica contro l’evasione fiscale certamente condivisibile, sarebbe il massimo se approfittasse di un momento solenne, quale sarebbe il discorso di fine anno, per tirare le orecchie a tutti gli amministratori pubblici, affinché le sacche di inefficienze e sprechi (spesso voluti) vengano, se non eliminate, almeno contenute a livelli compatibili con una società moderna ed evoluta. Sappiamo tutti che Lei sia il primo a nutrire disgusto verso tali comportamenti inaccettabili della classe politica e per questa ragione ci piacerebbe ascoltare parole di altrettanta durezza verso coloro che nei fatti finiscono per reggere il gioco ai contribuenti infedeli.

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