Governi nazionali ed Europarlamento hanno trovato questa settimana un accordo preliminare sull’introduzione di una cosiddetta “Carbon tax” transfrontaliera. I dettagli, tuttavia, dovranno definirsi tramite la maratona negoziale a tre tra governi, Europarlamento e Commissione che si terrà a Bruxelles questo fine settimana. Formalmente, si tratta della “Carbon  Border Adjustment Mechanism” (CBAM). Chi mastica un minimo l’inglese, avrà capito che il balzello sarà imposto alle importazioni. Di cosa? Di prodotti e servizi come cemento, elettricità, acciaio, fertilizzanti di alluminio e idrogeno.

E a quali paesi? A tutti coloro che non hanno adottato una politica di disinquinamento.

Lotta all’inquinamento o dazio mascherato?

L’obiettivo dell’Unione Europea consiste nel tagliare le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Solo così ci sarebbe la speranza che il riscaldamento globale non si aggravi entro la fine del secolo con conseguenze attese irreparabili da molti scienziati.

Il presidente della Commissione Ambiente dell’Europarlamento, Paschal Canfin, ha respinto le accuse di paesi come la Cina, i quali sostengono che dietro la Carbon tax europea si celi il desiderio di imporre barriere doganali mascherate. Egli ha ribattuto che si tratterebbe di “giocare secondo le stesse regole”.

Gli Stati Uniti potrebbero scampare alla stangata a seguito della recente adozione dell’amministrazione Biden di una serie di misure volte ad incentivare la transizione energetica per ridurre l’inquinamento. Probabile, comunque, che l’esenzione sarà barattata con l’ammorbidimento di alcune parti dell’“Inflation Reduction Act” (IRA). La normativa dello scorso agosto è considerata fumo negli occhi da Bruxelles per via dei maxi-incentivi offerti ai produttori domestici, i quali rischiano di colpire l’industria europea.

Carbon tax per tutti i settori

Tornando alla Carbon tax, la stangata non sarà solo a carico delle aziende produttrici straniere. Da un lato è vero che il dazio incentiverebbe le produzioni nazionali, dall’altro a pagare il conto sarebbero i consumatori.

Non solo le importazioni diverrebbero più care, ma i comparti dell’industria europea che fino ad oggi hanno beneficiato dell’esenzione dal sistema ETS, inizierebbero essi stessi a pagare. Proprio su questi aspetti i governi dovranno trovare un’intesa con le istituzioni comunitarie.

Stando all’accordo preliminare, la Carbon tax inizierebbe ad entrare in vigore dall’ottobre del 2023 e fino al 2026-2027 vi sarebbe una fase di transizione per consentire alle aziende di adeguarsi alla normativa. Man mano che il balzello sarà imposto ai produttori extra-europei, quelli europei perderanno i benefici fin qui mantenuti. Al fine di non colpirne la competitività, finora l’Unione Europea ha offerto ad alcuni comparti permessi per inquinare con l’assegnazione gratuita di quote di CO2.

Come funziona il mercato ETS

Gli ETS sono un sistema di scambio di quote di CO2 sul mercato europeo tra le aziende che ne posseggono in eccesso rispetto al loro fabbisogno e aziende che devono acquistarle perché ne hanno bisogno per avere il permesso di inquinare. Mercoledì, una tonnellata di CO2 si vendeva a 85 euro, quando fino a pochi anni fa i prezzi oscillavano tra 5 e 10 euro. Anno dopo anno, la quantità di quote immesse sul mercato dall’Unione Europea si riduce per incentivare l’industria a disinquinare. Tutto ciò, però, aumenta i prezzi sostenuti da realtà meno efficienti o energivore.

La Carbon tax, dunque, esiste già da anni. Semplicemente, adesso riguarderà tendenzialmente tutti i settori e rischia di far lievitare i prezzi già elevati di materie prime ed elettricità. Non un bel segnale, mentre la BCE lotta affannosamente contro l’inflazione a due cifre in cui è piombata l’Area Euro quest’anno. Un modo di proteggere le proprie imprese dalle delocalizzazioni un po’ masochistico, se i risultati saranno, come vedremo, di far pagare ulteriormente il disinquinamento all’unica popolazione del pianeta virtuosa in tal senso: quella europea.

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