Al termine della giornata di ieri, le dosi di vaccino contro il Covid somministrate erano state poco più di 1,2 milioni, a copertura di appena il 2% della popolazione italiana. Troppo poco, sebbene nel confronto internazionale ce la caviamo meglio di paesi come Francia e Germania. Ma il Regno Unito ha già vaccinato con almeno una dose il 7,50% dei britannici, Israele circa il 34%, record mondiale e di gran lunga. La campagna vaccinale nel nostro Paese sta andando a rilento, ma il fatto più increscioso consiste nel taglio di un terzo delle forniture da parte di Pfizer.

Anziché inviarci 460 mila dosi alla settimana, come da contratto per questa fase, l’altro ieri ce ne sono state consegnate solamente 330 mila.

Il colosso farmaceutico americano si giustifica con l’impossibilità di andare incontro ai livelli della domanda globale. L’Unione Europea, colpita dalla decisione, teme che il fornitore stia giocando d’astuzia, rifornendo prioritariamente e senza tagli quei paesi che hanno pagato di più per ogni dose acquistata. I dati sui contratti non sono formalmente pubblici, ma tramite le autorità belghe sappiamo che il costo sostenuto per il vaccino di Pfizer si aggirerebbe sui 12 euro per ogni dose, molto di più degli 1,78 euro per AstraZeneca e meno dei 14,68 euro di Moderna.

Non a caso, il premier israeliano Benjamin Netanyahu sarebbe riuscito ad appropriarsi di una quantità di dosi spropositata rispetto alle dimensioni della popolazione, con ogni probabilità riuscendo a completare la campagna vaccinale entro metà primavera. Secondo i rumors, avrebbe pagato un po’ di più degli altri stati per giungere all’obiettivo. Nei fatti, Pfizer in questa fase si comporta per quello che è: un quasi-monopolista mondiale del vaccino anti-Covid, in attesa che Moderna riesca a far decollare le sue forniture e che colossi concorrenti come AstraZeneca e J&J riescano ad ottenere il via libera dalle autorità farmaceutiche.

Vaccinazioni lente in Germania e dietro all’Italia, mentre Israele ha iniziato i richiami

Il taglio delle forniture sta già avendo un forte contraccolpo su tutte le regioni italiane, particolarmente nel Trentino, dove la riduzione delle consegne è stata del 60%, quasi il doppio della media nazionale. Le minori dosi a disposizione stanno avendo un doppio effetto: rallentare le somministrazioni e costringere il personale sanitario a conservare una quota delle dosi per i richiami. Questi vanno effettuati dopo 21 giorni dalla prima somministrazione. E se si continuasse a vaccinare nuove persone con la prima dose, ignorando che non vi saranno sufficienti fiale per la seconda, molti rimarrebbero scoperti e l’efficacia del vaccino per loro verrebbe meno. Insomma, come se non avessimo fatto nulla in queste prime tre settimane.

L’impatto devastante sull’economia

E così, la Regione Lombardia, che ha recuperato alla grande dopo essere partita con diversi giorni di ritardo rispetto alle altre regioni, ha somministrato circa 255 mila dosi e ha al contempo fatto presente che l’avvio della seconda fase verrebbe così rinviata dal 28 febbraio all’11 marzo. In sostanza, gli over 80 inizierebbero ad essere vaccinati con due settimane di ritardo. Lo stesso accadrebbe al resto della popolazione, a partire dagli over 60. Pfizer dal canto suo rassicura che le forniture torneranno regolari entro metà febbraio. Sarà, ma i ritardi peseranno non solo sulla campagna vaccinale in sé, bensì anche sulla capacità di ripresa dell’economia italiana.

Ieri, il governo ha incassato dal Parlamento l’approvazione del nuovo scostamento di bilancio da 32 miliardi di euro. Sale a 140 miliardi il costo totale diretto provocato dalla pandemia. Denaro, che dovrebbe bastare per erogare i ristori e coprire la cassa integrazione per l’intero anno. Il deficit salirà all’8,8% del PIL e il debito pubblico dovrebbe attestarsi al 157%, come nel 2020. Ma questi dati sono tarati su una previsione di crescita del 6%, che definire ottimistica è poco.

Tutti gli analisti indipendenti internazionali hanno tagliato le stime per l’Eurozona e la stessa Italia. Se va bene, dovremmo risalire di circa il 4% dopo il -9/-10% accusato nel 2020. L’impatto della terza ondata era stato stimato in 2,5 punti percentuali sul PIL. E sinora stiamo considerando che le attività riapriranno senza più restrizioni dopo il mese di marzo. Ma fino a quando non sarà stata coperta dalle vaccinazioni tutta la popolazione a rischio, vale a dire gli over 60, oltre all’intero personale sanitario, le riaperture rischiano di essere parziali, così da tenere sotto controllo la curva della mortalità.

E sempre che AstraZeneca e J&J, che faranno il grosso delle dosi a cui attingeremo, ottengano quanto prima le autorizzazioni e riescano a consegnarci le forniture nei tempi previsti. Se così non fosse, ci attenderà un 2021 non troppo dissimile rispetto all’anno precedente. Il PIL crescerà molto meno del previsto e i conti pubblici inevitabilmente si deterioreranno tra minore gettito fiscale e ristori necessari per sostenere le attività colpite dalla pandemia. Infine, molte di queste chiuderanno definitivamente battenti, lasciando in eredità per gli anni futuri un’economia strutturalmente collassata rispetto ai livelli pre-Covid.

Sui tempi delle vaccinazioni si gioca già la “guerra” tra economie per la supremazia post-crisi

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